Intrappolati nella propria abitazione senza possibilità di uscita, non è il nuovo DPCM ma Silent Hill 4: The Room, il più sperimentale tra i Silent Hill, che tuttavia attraverso una conturbante variazione di toni orrorifici denota l’abilità degli autori di rispettare i canoni della serie, mescolandone gli elementi senza scadere in facili manierismi. La claustrofobica ambientazione si eleva a vero e proprio personaggio anche grazie ad un avvolgente apparato scenografico, esaltando ricercati simbolismi e assumendo i tratti di uno strisciante microcosmo di inquietudini e rancori.
Henry Townshend si è trasferito da circa due anni nell’appartamento 302 di South Ashfield Heights, un palazzo della cittadina di Ashfield. La sua vita da fotografo scorre tranquilla, fino a quando non rimane misteriosamente rinchiuso nel suo stesso appartamento, con l’impossibilità di comunicare con l’esterno, con TV e telefono fuori uso. Passano così cinque giorni, quando uno strano buco appare nella parete del suo bagno, che conduce a quella che sembra essere una dimensione parallela. La sua prima destinazione è una stazione della metropolitana abbandonata, infestata da inquietanti entità, dove incontra Cynthia Velasquez, una donna che aveva intravisto dalla finestra, ferita mortalmente da un uomo misterioso. Con la convinzione di essere in un sogno, la donna muore tra le braccia di Henry.
Risvegliandosi nel suo appartamento, Henry vede dalla finestra un’ambulanza ferma di fronte l’uscita della metropolitana, ricevendo conferma dalla radio che Cynthia Velasquez è morta anche nel mondo reale.
L'aver cercato di emulare e superare la perfezione narrativa in Silent Hill 2, ripetendo sostanzialmente la medesima formula, è uno dei motivi che hanno reso i Silent Hill più recenti, una delusione: la storia è un viaggio verso la follia, l’orrore personale e il senso di colpa del protagonista sono rappresentati da mostri terrificanti, un passato oscuro da svelare, un culto malvagio, la nebbia e via discorrendo, tutto bello ma già visto, già vissuto. Questo tipo di horror psicologico, orfano del suo autore Keiichiro Toyama (accasatosi in Sony), non sembrava adatto fin dall’inizio ad una serrata serialità, non è Resident Evil che poteva limitarsi ad aggiornarsi dal punto di vista tecnico, necessitava costantemente di stimoli nuovi, e questo Akira Yamaoka, sound director divenuto ora produttore, lo sapeva benissimo. Similmente a quanto attuato da Capcom qualche anno prima, in seguito al successo di critica di Silent Hill 2, Konami avvia lo sviluppo quasi in contemporanea di due nuovi giochi: Silent Hill 3, e il progetto “Room 302”. Il primo sarebbe stato addirittura un sequel diretto del Silent Hill originale, un horror confezionato su solide basi dal Team Silent per avere successo, mentre al secondo, più defilato, spetta l'azzardo di essere “sperimentale”.
Laddove i primi Silent Hill ci trascinavano in una cittadina americana sperduta, Silent Hill 4: The Room porta il terrore nel luogo che più riteniamo sicuro: casa nostra. Henry Townshend è bloccato nel suo appartamento senza una ragione apparente, e l’inedita visuale in prima persona non è che una scelta di design atta ad aumentare l’immedesimazione e il senso di inquietudine, amplificando l'atmosfera claustrofobica che pervade questo angusto monolocale. La porta di ingresso è saldamente bloccata da enormi catene, non può essere aperta né dall’interno né tantomeno dall’esterno, qualcuno prova a bussare ma le tue urla sembrano non superare le pareti dell’appartamento, e il telefono è inutilizzabile; fuggire sembra quindi impossibile e ricevere aiuto dall’esterno altrettanto improbabile, al che inizi a guardarti intorno. Dallo spioncino della porta vediamo l’inserviente che pulisce i corridoi, e che scruta ogni tanto verso la tua direzione, puoi guardare fuori dalla finestra e vedere, nel palazzo di fronte, le persone che vivono la loro quotidianità, del tutto ignare di quello che stai passando, e infine una piccola fessura nella parete permette di spiare l’appartamento accanto, il 303, abitato da una giovane donna di nome Eileen Gavin.
Con ovvi rimandi ad un certo cinema, su tutti quello di Alfred Hitchcock, il giocatore viene giocoforza sollecitato verso un’inclinazione voyeurista, il che non è casuale data la professione da fotografo del protagonista; ma più in generale chi, almeno una volta, non ha guardato fuori dalla finestra, guardando i palazzi adiacenti, pensando a cosa stessero facendo i suoi inquilini? Nel tempo passato all’interno dell’appartamento, spiare sembra diventare quasi la nostra fonte di sostentamento, sostitutiva anche al cibo (assente, il frigo è vuoto), il confine tra paranoia e perversione diventa labile, la nostra attraente vicina è spesso poco vestita. Di suo Henry Townshend è un protagonista a dir poco generico, nessun passato oscuro, nessun demone da esorcizzare; a differenza dei precedenti Silent Hill, i mostri non sono proiezioni delle sue paure e dei sensi di colpa subconsci, e gli altri personaggi non sembrano avere alcun legame con lui.
Insomma, un vero e proprio avatar, personificazione del giocatore, in totale controtendenza alla tradizione della serie, anche se non del tutto privo di caratterizzazione (il sobrio appartamento ci dice comunque qualcosa su di lui e sul fatto che sia una persona introversa), ma ciò permette alla storia di incentrarsi sul villain, il serial killer Walter Sullivan, verso cui Henry, per qualche motivo, sembra essere connesso nell’inconscio. I mondi da incubo in cui veniamo risucchiati attraverso il buco del bagno, rappresentano luoghi legati alle sue vittime, e sono tutti misteriosamente collegati all’appartamento 302, che diventa una sorta di hub dove gioco e narrazione si incontrano per creare qualcosa di unico.
Inizialmente, l'appartamento funge da rifugio
sicuro, contenente l'unico punto di salvataggio del gioco e il tipico baule
dove riporre gli oggetti, mentre Il mondo esterno si presenta come un
opprimente labirinto urbano, pieno di alcune delle creature più spaventose mai
viste nella serie. Tornare nel nostro appartamento quando le cose si mettono
male, a recuperare energia e riprendere fiato, diviene di conseguenza
un’abitudine, proprio come le tanto amate safe room dei Resident Evil, con la
loro confortante musichetta. Ma poi ci ricordiamo che questo è Silent Hill, e
chissà forse proprio dilettandosi su questo archetipo del survival horror
Capcom, nella seconda metà del gioco anche casa nostra assume un
comportamento molto più sinistro, con orribili fantasmi che escono
letteralmente dalle mura per danneggiare Henry, e il giocatore, privo di un
luogo sicuro, totalmente in balia del terrore che lo perseguita.
Ma prima di
arrivare a questo visiteremo svariate ambientazioni, la più interessante delle
quali (e una delle più riuscite di tutta la serie) è sicuramente la terza, la
Water Prison. Tale prigione è costruita sul modello del Panopticon, ossia un
progetto architettonico ideato nel XVIII secolo da Jeremy Bentham, il cui
concetto si basa sul principio di un’unica postazione di sorveglianza,
posta al centro della struttura, in grado di osservare (opticon) tutti (pan) i detenuti,
senza che questi capiscano di essere controllati o meno, creando l’effetto di indurre nel detenuto uno stato perenne di visibilità. Il filosofo
Michel
Foucault (1926-1984) nel suo trattato Sorvegliare e Punire definirà questo
modello di potere “visibile ma inverificabile” (i detenuti vedono la torre, ma
non il sorvegliante) come Panopsismo.
La prigione è stata teatro di torture da parte dell’Ordine, dove gli orfani dell’orfanotrofio Wish House venivano “puniti”, tra cui Walter Sullivan; le note raccontano di eventi raccapriccianti e di bambini sull’orlo della pazzia, mentre la struttura circolare nasconde un sofisticato sistema di torrette mobile e fessure che permettevano di smaltire in modo efficiente i cadaveri. Qui faremo la conoscenza del fantasma di Andrew DeSalvo, aguzzino della prigione e uno dei nemici più temibili del gioco.
La già menzionata seconda parte di Silent Hill 4: The Room richiede di ripercorrere gli stessi luoghi, ma in compagnia Eileen, e questa fu in effetti una fase abbastanza criticata dai fan; coloro che hanno trovato la Ashley di Resident Evil 4 una palla al piede, la rimpiangeranno una volta assaggiata la difficoltà nel farsi strada tra i fantasmi con questa ragazza totalmente indifesa al seguito dato che, oltretutto, il livello di danno che subisce influisce sul suo stato mentale, e quindi sul finale. I mondi collegati da scale che sembrano dei cordoni ombelicari e i corridoi simili a uteri non sono che un manifesto del desiderio di Sullivan di ricongiungersi con sua madre; nonostante una realizzazione tecnica che all’apparenza sembra addirittura compiere un passo indietro rispetto al terzo capitolo, The Room vanta un design dei livelli unico e dal forte simbolismo, oltre a proporre dei mostri davvero raccapriccianti. La bellissima colonna sonora, ancora una volta composta dal leggendario Akira Yamaoka, contribuisce a trasmettere una sensazione di inquietudine e isolamento, rendendo il quarto Silent Hill il vero canto del cigno della serie, il che è abbastanza triste considerando quanti anni sono passati.
In questo assurdo 2020 in cui un po’ tutti abbiamo vissuto l’esperienza dell’isolamento, rigiocare Silent Hill 4: The Room e provare a sbloccare il finale migliore, varcando finalmente quella dannata porta dell’appartamento 302, assume un significato speciale, non c’è niente di meglio di un survival-horror a ricordarci che se non cediamo alla disperazione, possiamo superare qualsiasi incubo.
Gran bel gioco questo, Non ho giocato tutti i silent hill ma tra quelli che ho giocato si piazza al terzo posto, dopo il due e il primo. Il protagonista sta peggio di noi, ma almeno lui è fatto di poligoni e non può farsi male davvero... ��
RispondiEliminaAnche la mia classifica di preferenza sarebbe quella, dovessi però valutare solo la strizza il 4 probabilmente si piazzerebbe in cima..
EliminaIn effetti Resident Evil e Silent Hill erano due facce della stessa medaglia nel genere orrorifico: Nel primo la minaccia era esterna, in genere di tema scientifico, ed andava estirpato a suon di armi offensive; nel secondo il pericolo era concentrato nel proprio io interiore, sopratutto di matrice psicologica, e andava affrontato cercando di venire a patti con le proprie difficoltà.
RispondiEliminaA mio giudizio i primi quattro capitoli sono tutti abbastanza interessanti. Sicuramente per nostalgia sono legato al primo capitolo ma il secondo è quello che mi è piaciuto di più.
Beh si il 2 è proprio un capolavoro.
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