domenica 21 luglio 2019

Devil May Cry 5

Devil May Cry 5
デビルメイクライ 5
2019
PlayStation 4, Xbox One, Windows
Developer: Capcom Publisher: Capcom
Hideaki Itsuno (Director), Matt Walker (Producer)
Yoichiro Ikeda (Designer), Yoshiharu Nakao (Programmer), Koki Kinoshita (Artist)
Bingo Morihashi (Writer), Kota Suzuki (Composer)

Itsuno hai realizzato il tuo sogno di riportare la serie sui livelli che merita, tutto bello ma non puoi neanche pretendere che di punto in bianco si ritorni quindicenni, lì ad imparare dozzinali di combinazioni per il solo gusto di prendere SSS (Smoking Sexy Style). Ergo si gioca, si apprezza e si finisce ma altro incombe e si ha quella sensazione di aver solo grattato la superficie di Devil May Cry 5. E dov'è il gotico.

Sono passati diversi anni dagli eventi di Devil May Cry 4, Nero è ora un esperto cacciatore di demoni e vaga a bordo di un furgone insieme ad un'eccentrica armaiola di nome Nico. Un giorno si presenta nel suo garage un uomo incappucciato, che senza tanti complimenti gli strappa il braccio destro, quello posseduto dal Devil Bringer, liberando in tal modo il potere della spada Yamato, in precedenza appartenuta a Vergil, con la quale può aprire il portale per gli inferi.
Pochi giorni dopo, un misterioso personaggio di nome V si presenta nell'ufficio di Dante proponendogli un incarico: sconfiggere il potente demone Urizen. Dante si reca così a Redgrave City, insieme a Trish e Lady, dove Urizen ha eretto l'albero demoniaco Qlipoth, che si nutre del sangue degli esseri umani. Anche Nero si trova nella stessa città, dopo aver scoperto che dietro l'identità del suo assalitore potrebbe esserci proprio Urizen, ma è solo l'inizio di un intreccio di destini.


Hideaki Itsuno è forse oggi l'incarnazione di quella vecchia Capcom dalle sfide ai limiti dell'incoscienza ma che bene o male si porta sempre a casa il risultato; lontana dalla rassicurante comfort zone di Monster Hunter e del suo enorme successo commerciale, quanto dall'affannosa gestione del settore picchiaduro, la Divisione 1 di Capcom è oggi decisamente in salute e il fiore all'occhiello della compagnia. Con Dragon's Dogma, progetto che inseguiva dal lontano 2000, Itsuno crea la nuova IP Capcom di maggior successo del suo decennio, eppure al posto di un prevedibile quanto richiesto Dragon's Dogma 2, ecco che se ne esce con il quinto capitolo di Devil May Cry, come a voler riaprire un discorso lasciato in sospeso dalla parentesi Ninja Theory.
Lungi tuttavia nell'accodarsi con i più ridicoli fanboy rinnegando l'esperimento di sviluppo anglosassone del 2013, videogioco che anzi dice di amare, per Itsuno la macchia da ripulire è semmai quella di Devil May Cry 4, verso cui non ha mai nascosto l'insoddisfazione. Frutto di uno sviluppo travagliato, tra problemi tecnici dovuti ai nuovi hardware (PS3 e Xbox 360 misero in crisi molti sviluppatori nipponici), e un budget ridotto ben palesato dall'agghiacciante backtracking presente nella seconda metà del gioco, Devil May Cry 4 fu una delusione forse più per il team di sviluppo che non per i giocatori stessi, stranamente benevoli nei suoi confronti, come a dire meglio un Devil May Cry sviluppato in modo svogliato ma con i personaggi classici, piuttosto che un ottimo hack 'n' slash (pur anch'esso con i suoi difetti), reo però di aver espresso un suo deciso e autoriale cambiamento stilistico.


Dunque Devil May Cry 5 è il sequel che i fan tanto volevano? Senza ombra di dubbio sì, portando avanti la fortunata tradizione aggiustatrice dei capitoli dispari, ma al contempo potrebbe essere il sequel di cui non si sentiva poi granché bisogno; giocandolo si avverte la sensazione di un prodotto compiaciuto e compiacente, dove il fan-service gioca un ruolo di primo piano nella messa in scena, andando a creare un ottimo manuale su come si sviluppa un Devil May Cry, dimenticandosi però di metterci qualcosa di suo.
Le missioni, lunghe il giusto e con comodi savepoint, si susseguono tra battaglie e cut-scene splendidamente coreografate, con i boss che lasciano letteralmente a bocca aperta non solo in quanto a spettacolarità, dal possente Goliath che ti spara le auto addosso al King Cerberus con i suoi tre elementi, ma anche per varietà di attacchi ed eventuali strategie adottate; qui siamo davvero sul punto più alto raggiunto dal genere, il tutto mosso senza un minimo di tentennamento di fotogrammi, testato in ambiente PS4 standard. Innegabilmente, questo RE Engine, spuntato dal nulla con RE7 dopo l'abortito Panta Rhei, si sta dimostrando una vera arma in più da parte di Capcom per questo finale di generazione, in grado di passare dall'horror in prima persona del settimo Biohazard all'ultimo Devil May Cry con sorprendente naturalezza.


Dove forse era lecito aspettarsi di più è nel versante scenografico, il RE Engine dà sicuramente il meglio di sè nelle ambientazioni urbane e realistiche, con Redgrave City che gioca il suo ruolo in tal senso tra macerie, strade e metropolitane. Devil May Cry 5 non offre però molto altro oltre al Qlipoth, questo enorme albero che ingloba rovine, grotte e cavità varie, accrescendo un sottile rimpianto nei confronti di precedenti operati architettonici con cui la serie Capcom ci ha deliziato, in particolare di inclinazione gotica, qui totalmente assente. Abbiamo oggi a disposizione la bellissima Yharnam di Bloodborne, verrebbe da dire, eppure non si può fare a meno di pensare a cosa sarebbe stato il primo Devil May Cry senza il castello di Mallet Island, DMC 3 senza il Temen-ni-gru e DMC 4 privo della città di Fortuna, le ambientazioni coprono un ruolo fondamentale nel rendere un titolo indimenticabile, e il quinto capitolo sembra mancare questo obiettivo.

Nell'attesa dunque di un guizzo artistico che non arriva, Devil May Cry 5 offre almeno un gameplay solido e stratificato, come da tradizione per la serie. I tre personaggi a disposizione donano una varietà di attacchi mai vista prima, forse persino eccessiva nello specifico di Dante con il suo arsenale di armi e i 4 stili che lo accompagnano: la mole di assortimento di tecniche offensive, di certo non tutte indispensabili, è tale da essere alle volte disorientante nel momento in cui saremo spinti a variare il più possibile il nostro stile di gioco per aumentare la nostra valutazione. Il fare scena con il superfluo, sovrastando l'utile in una forma di autocompiacimento alla lotta, è una caratteristica che ha da sempre contraddistinto filosoficamente la serie Capcom dando il via all'inizio degli anni 2000 al sotto-genere dello "stylish game", portato avanti da Viewtiful Joe, Bayonetta e altri esponenti, ma che oggi è stato sostanzialmente seppellito da nuove (o rinnovate) correnti del gioco d'azione, su tutte quella di From Software. Il confronto tra l'ultimo Devil May Cry e il contemporaneo Sekiro: Shadows Die Twice appare oggi come uno scontro tra due epoche e due modi, ambedue giapponesi, di intendere l'hack 'n' slash. In tale scenario la serie di Dante sembra palesarsi come un soldato acrobata e appariscente in un torneo di arti marziali dove però a prevalere è la concretezza dei colpi e il pragmatismo alla sopravvivenza, il tecnicismo e la fatalità di pochi fendenti di Hidetaka Miyazaki contro le mille mosse inutili di Hideaki Itsuno. Non che la serie debba rinnegarsi piegandosi al successo commerciale altrui, ma non si può neanche negare che tendenzialmente i gusti e le esigenze dei giocatori non rimangono congelati per diciotto anni come i suoi protagonisti.

Nero si dimostra quindi il personaggio più intuitivo ed equilibrato e per questo il più divertente da usare, il braccio meccanico Devil Breaker funge da degno sostituto del Devil Bringer e può avere molteplici varianti e sostituzioni, grazie all'officina ambulante di Nico. Discorso a parte vale per il personaggio di V, praticamente un unicum nella serie con la sua facoltà di controllare a distanza i demoni Shadow, Giffon e Nightmare, meccanica che porta alla mente al dimenticato Chaos Legion; è interessante, anche se nella maggior parte delle battaglie si tende a spegnere il cervello premendo i tasti di attacco evitando il contatto di V con i nemici.


I demoni di V rimembrano alcuni dei più celebri nemici del primo Devil May Cry ed è il citazionismo che più piace, poiché velato e su cui alla fine trovano persino la spiegazione, mentre lo stesso non si può dire della presenza di Trish e Lady, due figure tappezzeria dall'inutilità quasi offensiva. Per il resto narrativamente il quinto Devil May Cry fa il suo compitino, intrattenendo senza uscire troppo da binari preimpostati, con un finale che poteva osare di più nel metter la parola fine ad una faida fraterna portando la serie ad una maturità forse mai cercata, andando invece a concludere la vicenda, dopo dieci anni di attesa, sostanzialmente come un episodio di Yatterman.

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