Zero: Akai chō
零〜紅い蝶〜
Project Zero II: Crimson Butterfly
2003
PlayStation 2, Xbox
Developer: Tecmo Publisher: Tecmo
Makoto Shibata (Director), Keisuke Kikuchi (Producer), Katsuyuki Ōkura (Programmer)
Akira Nishimura, Hitoshi "Zin" Hasegawa (Designer), Ayako Toyoda (Composer)
Storie di fantasmi, maledizioni e antichi rituali, cose lette e viste ma nel 2003 su una PS2 orfana degli zombie Capcom non è che si stava a sindacare sull'originalità, e il concept del primo episodio era piaciuto. Che poi di questi villaggi fantasma sui monti il Giappone ne avrà a bizzeffe, sarebbero da fare escursioni notturne, in alternativa si ripiega su questo secondo Zero, che ha classe a sufficienza da potersi ricavare una posizione di prestigio all'interno del genere horror.
Le due gemelle Mio e Mayu Amakura stanno visitando la casa dove trascorsero la propria infanzia. In un momento di distrazione però, Mio perde di vista sua sorella, che si addentra nella foresta attratta da una misteriosa farfalla purpurea. Entrambe giungono ad un villaggio avvolto dalla nebbia e apparentemente abbandonato, fino a quando non scoprono che il luogo è infestato dalle anime dei morti, prigioniere nelle tenebre a causa di un’antica cerimonia.
Il momentaneo trasloco di Shinji Mikami e dei suoi Biohazard su lidi Cubici, ebbe la forse casuale quanto apprezzabile concausa di far proliferare su PlayStation 2 un certo quantitativo di nuovi horror giapponesi, ognuno dei quali in grado di ritagliarsi un proprio spazio tra i fruitori del genere. Poco dopo l’inestimabile Silent Hill 2 e prima dell’avvento del Siren di Keiichiro Toyama, sul finire del 2001 si fece largo una Tecmo assai ispirata con 零- zero-, ribattezzato Project Zero in Europa e Fatal Frame in Nord America, che metteva in scena la vicenda di una giovane studentessa di nome Miku, intenta a cercare suo fratello in un’antica e oscura magione infestata dai fantasmi. L’unica arma a disposizione della ragazza per contrastare la minaccia degli spiriti è una speciale macchina fotografica, detta Camera Obscura, in grado di esorcizzarli una volta inquadrati e fotografati a dovere. Ispirandosi alla vera leggenda della Himuro Mansion, con il suo macabro rituale della corda, ma anche ad alcuni suoi sogni (verrebbe da dire incubi), Makoto Shibata prende parte dello staff della serie Deception e dirige un horror di ottima fattura e soprattutto molto, molto spaventoso, al punto che molti videogiocatori giapponesi dichiareranno di non essere riusciti a finirlo per la troppa paura.
Per il sequel, intitolato Zero: Akai chō (Project Zero II: Crimson Butterfly) si decide dunque di potenziare l’aspetto narrativo, proponendo questa volta due gemelle come protagoniste e ampliando la ricostruzione scenica ad un intero villaggio. Cimentarsi nel seguito di un horror non è mai semplice, al cinema e forse ancor di più con i videogiochi, il rischio di perdere parte di quell’effetto sorpresa che ha caratterizzato la fortuna del prototipo è sempre dietro l’angolo, tuttavia il pur pregevole Project Zero pagava una certa inesperienza dello studio su questo genere e suggeriva senza dubbio dei margini di miglioramento.
Fin dalle sue prime fasi, Crimson Butterfly propone una storia molto più interessante, concretizzandosi su due livelli temporali interconnessi: le gemelle Mio e Mayu come le gemelle del passato Yae e Sae, le quali portarono al fallimento il Rituale Cremisi, che esige la morte di una delle due sorelle per mano dell’altra, condannando il villaggio ad una maledizione perenne, il “Pentimento”. Attraverso alcuni flashback, leggendo gli immancabili documenti e servendoci della spettrale radio spirituale, che amplifica i tormenti degli spiriti, scopriremo man mano tutti i dettagli di quella terribile notte e il metodo, eventualmente, per fuggire dalla minaccia degli spiriti dei sacerdoti, intenti a portare a compimento il rituale, servendosi ora di Mio e Mayu.
Sul versante ludico Project Zero II non si discosta molto da quanto visto nel predecessore, migliorando laddove necessario, dalla varietà di fantasmi, notevolmente aumentata, agli effetti di illuminazione, passando ovviamente per il sonoro, forse l’aspetto tecnico migliore del gioco; continuare a sentire i tormenti degli spiriti anche dopo che questi sono spariti, è un tocco di classe aggiunto in questo seguito in grado, magari al buio e con un bel paio di cuffie, di far venire qualche brivido in più. Anche in questo seguito ricopre un ruolo altrettanto importante la funzione di vibrazione del controller, che ci trasmette il battito cardiaco della protagonista.
Inevitabilmente nel corso delle nove ore necessarie per giungere ai titoli di coda, la tensione non rimane sempre sui livelli di guardia e intorno al capitolo 8 si avverte una certa stanchezza, ma il gioco è comunque abile a valorizzare tutti gli ambienti, usufruendo del backtracking in modo intelligente e facendo apparire gli spiriti nei punti giusti. Come nel predecessore infatti in questo gioco vi sono sostanzialmente due tipi di fantasmi, quelli offensivi e quelli inoffensivi, con quest'ultimi che stanno nascosti in un determinato punto dello scenario, l’atto del fotografarli funge quindi da collezionabile, spronando così l’esplorazione.
Se in buona parte degli horror giapponesi (e non) il combattimento è spesso controproducente, il guadagno dei punti con conseguente potenziamento della Camera Obscura rende Project Zero più action di quanto non lo dia a vedere, incoraggiando nelle fasi più avanzate a far strage di fantasmi per sbloccare le ultime e più potenti funzioni della macchina fotografica, con buona pace dell’inquietudine iniziale. Questo è l’unico piccolo difetto che si porta appresso l’horror di casa Tecmo, che per il resto è ancora oggi in grado di intrattenere ed emozionare, grazie ad una realizzazione di classe e ai suoi tre differenti finali. A tal proposito, la Director’s Cut uscita qualche mese dopo per Xbox apporta alcune migliorie tecniche, alcune utili quale un rinnovato sistema di illuminazione, altre decisamente superflue come la visuale in prima persona (che smorza parte del pathos registico) e il negozio per gli oggetti, ma soprattutto aggiunge un quarto finale, “La Promessa”, che si pone come il più positivo, anche se quello canonico rimane La Farfalla Cremisi.
Di peggio farà comunque la versione Wii, oltre che a modificare pesantemente il design delle due protagoniste (più adulte, insulsamente ammiccanti), questo vero e proprio remake aggiunge due ulteriori finali uno peggiore dell’altro, il primo (Shadow Ritual) eccessivamente buonista e il secondo (Frozen Butterfly) inutilmente macabro, due scelte stilistiche e narrative che rovinano in parte il fascino dell’originale.
Molto interessante, non conoscevo questo gioco, ma il folklore giapponese mi piace molto. Peccato per i remake decisamente poco riusciti.
RispondiEliminaLa versione Xbox tutto sommato è ok, quella Wii l'ho proprio detestata, ma ci sta sia un problema mio e che ad altri sia piaciuta..mah vabé.
EliminaCon simile ambientazione Forbidden Siren gli è superiore, ma quello non è per tutti. Project Zero invece è più semplice.