A dodici anni dalla sua fondazione, Game Arts raggiunge il più alto gradino della sua scalata progressista del gioco di ruolo nipponico, ponendosi come esploratore di terre ignote all'alba di una nuova era. Con buona pace di sedicenti esperti, nel novantasette è Grandia a ridefinire il genere, per mezzo di una raggiunta estetica designata all'avventura e all'entusiasmo, fra tradizione Ghibli e innovazione tecnica, tra voice acting e orchestre di Iwadare che risuonano in mondo realmente tridimensionale. In faccia allo squadrone Squaresoft, il quale scelse semplicemente la console giusta ma che sotto la patina di filmati in full motion, in sostanza rifaceva FFVI e Romancing SaGa.
Dopo il rudimentale Faria e il successo dei due Lunar, in Takeshi Miyaji prende corpo l’idea di una evoluzione del genere RPG, secondo lui necessaria dopo gli exploit della generazione 16-bit, che vide il genere spremuto fino alla sovrabbondanza e ad una certa omologazione produttiva. Il passo successivo è curare ogni aspetto del videogioco allo scopo di generare un’esperienza empatica completa; nella visione dei Game Arts il rapporto tra il videogiocatore e i personaggi diviene perciò centrale, l’obiettivo di Miyaji sarà dare al gioco un aspetto maggiormente "vivo" servendosi di personaggi più teatrali e dinamici.
“Quello era il nostro punto di partenza per Grandia. Nei precedenti giochi di ruolo, anche quelli con molte sidequest e contenuti extra, penso che l'empatia che si provava per i personaggi fosse ancora piuttosto bassa. Quei giochi non riuscivano ad evocare una semplice sensazione come "adoro questo personaggio!". Ovviamente, quei giochi di ruolo sono stati influenzati dalla meccanica e dai sistemi del passato, ma a livello di interesse umano, non hanno trasmesso molto”.
Per la direzione artistica viene scelto Hidenobu Takahashi, praticamente debuttante (ruoli minori in Urusei Yatsura: Dear My Friend, Veigues: Tactical Gladiator, Siplheed, Gungriffon), ma ben radicato in Game Arts al fianco dei fratelli Miyaji e con già le idee molto chiare:
“Quanta personalità riesci a infondere nei tuoi personaggi?
La cosa che mi piace di meno nei precedenti giochi di ruolo è il modo in cui
funziona il dialogo con i NPC. Tutto sembra troppo su misura sul fatto che tu
sei l'eroe. Per Grandia, invece, abbiamo posto un'enfasi speciale sulla
progettazione degli incontri con i personaggi, assicurandoci che i NPC avessero
tutti una forte personalità individuale. Il processo con cui ottieni nuovi
alleati nei giochi di ruolo si riduce in genere ad una singola frase di
giustificazione: io la chiamo politica "Combattiamo insieme!". Ma il
nostro eroe in Grandia non ha un comportamento così precostruito; è solo un
ragazzo a cui piace l'avventura”.
Con Grandia lo staff si prefigge lo scopo di superare quella
esposizione sulla quale molti giochi di ruolo facevano fin troppo affidamento,
tendenti ovverosia allo spiegare tutto con le parole più che con le immagini, nelle prime
fasi di gioco, come a volersi togliere “un peso”. In buona parte degli rpg,
qualsiasi crisi attraversata dal mondo non veniva trasmessa in modo visivo, e in
questo modo secondo Game Arts i giocatori non potevano sperimentare a fondo il
mondo di gioco.
“All'improvviso ti viene semplicemente detto "ok,
adesso devi salvare il mondo". Non funziona. Se il mondo ha bisogno di
essere salvato, non è sufficiente dirlo ai giocatori. Ecco perché la storia di
Grandia non inizia con il tipico "salva il mondo". In realtà, la
storia non si sviluppa verso quella direzione fino al secondo disco, mentre il
primo dà ai giocatori il tempo di conoscere a fondo i personaggi e il mondo di
gioco”.
Da qui Justin, non un eroe prescelto da chissà quale divinità o un prode cavaliere, ma solo un ragazzo che vuole scoprire il mondo mosso solo dalla sua incrollabile determinazione. In un periodo in cui in Giappone, con il boom di Neon Genesis Evangelion (1995), prendeva maggiormente piede il protagonista depresso alle prese con conflitti interni (in realtà una riproposizione moderna dell’otaku Tominiano Amuro Ray), Game Arts per il suo gioco di ruolo più imponente sceglie il classico, ma in certo senso fresco in ambito videoludico, Mirai shōnen dedito all’avventura.
Da qui Justin, non un eroe prescelto da chissà quale divinità o un prode cavaliere, ma solo un ragazzo che vuole scoprire il mondo mosso solo dalla sua incrollabile determinazione. In un periodo in cui in Giappone, con il boom di Neon Genesis Evangelion (1995), prendeva maggiormente piede il protagonista depresso alle prese con conflitti interni (in realtà una riproposizione moderna dell’otaku Tominiano Amuro Ray), Game Arts per il suo gioco di ruolo più imponente sceglie il classico, ma in certo senso fresco in ambito videoludico, Mirai shōnen dedito all’avventura.
Feena è un’altra figura chiave che non si trovava spesso nei
giochi di ruolo. Anzi, non si trovava affatto. Molti jrpg si erano già
scrollati di dosso determinati topos fiabeschi della principessa rapita, e
avevano già intrapreso la via dell’emancipazione femminile con alcune
personalità di spicco, a partire dalla Alis di Phantasy Star (1987). Tuttavia,
le donne protagoniste nei giochi di ruolo erano (e sono) condannate o al ruolo
di ragazza da proteggere, oppure a donne guerriere armate di tutto punto, è
difficile trovarne altre che non corrispondano ad una di queste due categorie.
Feena è una di queste, caparbia esploratrice e agile combattente, ma non
guerriera in senso stretto con spada e armatura, né tantomeno la fragile maga
bianca che cura il gruppo dalle retrovie. Inizialmente si potrebbe accostare
alla Nadia di Gainax, salvo poi scoprirne tutte le differenze caratteriali, rispetto alla vegetariana scontrosa di Anno si dimostra
più vivace e decisamente meno tendente a farsi trascinare dagli eventi. Feena
rappresenta l’Avventura stessa, una ragazza dal forte temperamento senza però risultare arrogante (la doppiatrice giapponese, Noriko Hidaka, è la celebre voce di
protagoniste quali Minami Asakura di Touch e Akane Tendo di Ranma½, oltre che di Jean nel già citato Fushigi no Umi no Nadia), con il tempo la sua etichetta di perfetta avventuriera verrà meno, facendo emergere il suo
animo gentile e premuroso nei confronti di Justin e della piccola Sue.
E con Sue Grandia dimostra, ancora, la sua grandezza.
Inizialmente bollata come mascotte del gruppo, Sue è forse il personaggio più
bello e profondo del gioco. Ragazzina di otto anni e amica di giochi di Justin
a Parm, Sue, come molte della sue età, cerca in ogni modo di comportarsi da
adulta e per questo segue Justin nella sua avventura, fino ai confini del mondo
conosciuto. Forse troppo oltre, per quelle che sono le sue possibilità. La
scena della sua separazione rientra di diritto come la più toccante del gioco
(“non importa quante volte la vedo, piangerò sempre” T. Miyaji), per come è
realizzata, per tutto ciò che rappresenta. Al cedimento fisico, Sue mette da
parte il suo fino ad allora incrollabile orgoglio e capisce che ormai il
viaggio di Justin non è più un gioco da affrontare con fionde e padellate, ed è
significativo e sotto certi aspetti geniale il metodo con il quale il sistema di gioco stesso si predisponga a questo evento narrativo,
facendo in modo che a Sue siano necessari più punti esperienza in battaglia, per aumentare di livello, rispetto agli altri
personaggi. Lo vedi che non tiene il passo, te ne accorgi, e per questo che in
quel momento, al suono della toccante Farewell to Sue, è impossibile, IMPOSSIBILE
non provare qualcosa.
Un altro personaggio di spessore che merita menzione è
sicuramente Leen, giovane e glaciale tenente dell’esercito divisa tra dovere e
sentimento, ebbe fin da subito un discreto successo tra i fan del videogioco
grazie anche alla sua bellezza, e il momento in cui si trova da sola con Justin
è uno dei più divertenti della storia.
Funzionali e di contorno gli altri alleati, che ovviamente non tutti ricoprono l’importanza di quelli già nominati, tuttavia c’è un aspetto che differenzia Grandia rispetto agli altri rpg e che si riallaccia al ragionamento di Hidenobu Takahashi riportato ad inizio articolo: l’interazione tra i personaggi. Oggi è una componente ben diffusa in quelle serie, come per esempio Persona, che hanno assimilato meccaniche da visual novel (e in alcuni casi dating sim), aumentando esponenzialmente le scene di dialogo. Ma nel 1997 la situazione era ben diversa, nella maggior parte degli rpg quando un personaggio si univa alla squadra, sotto certi aspetti completava il suo scopo (Dragon Quest IV, strutturato in modo da riunire i guerrieri prescelti, ne è l’esempio più schematico), e raramente li si vedeva dialogare tra loro in modo naturale, al di fuori dell’imposto script principale. In Grandia la ricerca di una maggior interazione tra i personaggi è ben rappresentata dai pasti, dove il gioco Game Arts sostituisce la semplice e asettica sosta in hotel per il recupero di HP con canzoncina rilassante annessa, in favore di piacevoli sequenze a tavola o il più delle volte in accampamento attorno ad un fuoco. Durante queste sequenze, servendoci di un cursore, potremo decidere con chi iniziare una conversazione, e dinnanzi al rito del cibo troviamo dialoghi scritti con una genuinità che solo pochi autori sanno trasmettere.
Funzionali e di contorno gli altri alleati, che ovviamente non tutti ricoprono l’importanza di quelli già nominati, tuttavia c’è un aspetto che differenzia Grandia rispetto agli altri rpg e che si riallaccia al ragionamento di Hidenobu Takahashi riportato ad inizio articolo: l’interazione tra i personaggi. Oggi è una componente ben diffusa in quelle serie, come per esempio Persona, che hanno assimilato meccaniche da visual novel (e in alcuni casi dating sim), aumentando esponenzialmente le scene di dialogo. Ma nel 1997 la situazione era ben diversa, nella maggior parte degli rpg quando un personaggio si univa alla squadra, sotto certi aspetti completava il suo scopo (Dragon Quest IV, strutturato in modo da riunire i guerrieri prescelti, ne è l’esempio più schematico), e raramente li si vedeva dialogare tra loro in modo naturale, al di fuori dell’imposto script principale. In Grandia la ricerca di una maggior interazione tra i personaggi è ben rappresentata dai pasti, dove il gioco Game Arts sostituisce la semplice e asettica sosta in hotel per il recupero di HP con canzoncina rilassante annessa, in favore di piacevoli sequenze a tavola o il più delle volte in accampamento attorno ad un fuoco. Durante queste sequenze, servendoci di un cursore, potremo decidere con chi iniziare una conversazione, e dinnanzi al rito del cibo troviamo dialoghi scritti con una genuinità che solo pochi autori sanno trasmettere.
“Ho pensato che sarebbe stato più divertente se avessi avuto
più tempo per conoscere i membri del tuo gruppo, e l'occasione migliore potrebbero
essere durante la cena e le scene di accampamento". (Takeshi Miyaji)
Particolarmente curata infine la psicologia dei nemici: la già citata Leen, l’ambizioso e imperscrutabile Generale Baal, l’affascinante Colonnello Mullen, ognuno di essi è il tassello di un riuscito mosaico di diverse personalità che tiene incollato l’avventuriero fino ai titoli di coda, e oltre. Menzione d’onore a Nana, Saki e Mio, il “trio comico” della situazione, possibile omaggio ai classici Time Bokan.
Il numero di animazione per gli sprites di ciascun
personaggio è definibile folle. Come noto, il normale processo per la loro
realizzazione è quello di far disegnare agli animatori i pattern di movimento,
quindi scansionare i risultati e colorarli per poi finirli sul computer. Ma
Grandia è il primo importante jrpg 3D con zoom e rotazione della telecamera manovrabile
dall’utente, e questo richiese non solo la creazione di ambienti a 360°, ma
anche il disegno delle diverse angolazioni di tutti gli elementi animati
presenti al suo interno.
“Il grosso problema è che per la maggior parte delle azioni,
abbiamo dovuto creare pattern per 8 direzioni diverse, anche una cosa semplice
come scalare una corda doveva essere disegnata da tutti i lati. È circa il
doppio del lavoro che viene fatto di solito per la produzione di un anime
tradizionale”.
Di vitale importanza ricoprono, per i dialoghi, i riquadri
raffiguranti il viso dei personaggi. Già visti in Lunar, in Grandia questi sono
dinamici e variano in base all’espressione che ha il personaggio nel preciso
istante in cui questo si esprime, arrivando ad un totale di oltre 200 ritratti,
35 dei quali solo per Feena, che attribuiscono così al cast una personalità
altrimenti irraggiungibile con i soli sprites di campo.
Il poligono si pone invece come nuova sfida, lo step successivo del gioco di ruolo nipponico. In concomitanza con il coevo Final Fantasy VII, Grandia si prende carico di trapiantare il genere sulla nuova generazione di console (grande risalto ebbe infatti sulle riviste a tema Saturn), compiendo un passo persino ulteriore rispetto al colossal di Squaresoft. Al di là dell’enorme e indubbia importanza che rappresentò lo sviluppo di Final Fantasy VII all’interno della compagnia e il suo impatto nel genere tutto, Hironobu Sakaguchi scelse a conti fatti la via più semplice e in un certo senso obbligata nei confronti di un team del tutto inesperto in fatto di grafica 3D, ossia l’utilizzo di sfondi pre-renderizzati per gli scenari, a cui sovrapporre elementi e personaggi poligonali, similmente a quanto attuato da Capcom per il suo Biohazard (1996) e di riflesso da diversi altri titoli simili.
Con tale metodo questi giochi guadagnarono in realismo conferendo loro connotati cinematici, ciò che effettivamente il pubblico voleva nel 1997 e scendendo a patti nel modo migliore con i limiti hardware delle macchine 32 bit; Midgar non sarebbe stata la stessa senza quell’atmosfera cyberpunk così cupa, raggiungibile solo tramite fondali pregni di minuziosi dettagli, e lo stesso vale per la villa Spencer di Resident Evil, il cui fascino orrorifico veniva esaltato dalle inquadrature fisse. Di contro però veniva meno l’interazione del personaggio con l’ambiente e la libertà offerta al giocatore, inoltre data la staticità registica a cui inevitabilmente andavano incontro questi giochi, per le cutscene e i momenti clou si doveva ricorrere a costosi e ingombranti (in termini di spazio su disco) filmati FMV, creando un vistoso stacco visivo tra giocato e non-giocato.
Game Arts scelse invece una via diversa, sicuramente più rischiosa considerati i limiti tecnici dell’epoca, ma che alla fine ripaga pienamente dello sforzo nella sua realizzazione; così come non è possibile immaginare la città di Midgar realizzata in altra maniera, allo stesso modo alcune scene chiave della storia di Grandia, dalla partenza di Justin da Parm, al romantico dialogo con Feena sulla spiaggia di Gumbo passando per la scalata sul muro della “Fine del Mondo”, non avrebbero avuto la stessa efficacia con l’utilizzo di schermate statiche. Il motore grafico di Grandia permette, oltre ad alcuni innovativi espedienti di luce (il ciclo giorno-tramonto-notte di alcune città, i raggi dell’alba durante la partenza di Justin da Parm), una maggior libertà esplorativa nei dungeon e di conseguenza l’elaborazione di enigmi ambientali molto più ricercati, rispetto ad un jrpg tradizionale. Curiosamente Squaresoft, in parallelo a Final Fantasy VII, stava realizzando un altro gioco di ruolo con un metodo grafico maggiormente accostabile a Grandia, con sprites 2D in ambienti 3D. Diretto da Tetsuya Takahashi, tale gioco nei progetti iniziali doveva essere proprio il settimo episodio della saga di Final Fantasy; ovviamente stiamo parlando di Xenogears, che sarebbe uscito l’anno successivo alla fine di uno sviluppo abbastanza travagliato, risultato che denota ancora una volta l’enormità, per l’epoca, della produzione di Grandia.
“Se dovessi
riassumere il divertimento di un mondo di gioco, non è sufficiente farlo
ammirare, ma bisogna permettere anche di interagire con esso. Non importa
quanto tu ritenga realistico il tuo mondo, se il giocatore non si diverte, hai
fallito”.
Hidenobu Takahashi e Takeshi Miyaji non li citano
praticamente mai, ma i primi film di Hayao Miyazaki e il seguente Fushigi no
Umi no Nadia (1989) di Hideaki Anno non possono non aver avuto una qualche
influenza su Grandia e su, prima di lui, gli rpg di Studio Alex. A partire da
quel Toshiyuki Kubooka, character designer dei due Lunar ma anche direttore
delle animazioni sia di Nadia che di Top wo Nerae Gunbuster (1988), il cui
tratto è verosimilmente accostabile a quello di Yoshiyuki Sadamoto. I contatti
tra Game Arts e Gainax trovano ulteriore conferma con Alisia Dragoon (1992,
Sega Mega Drive), realizzato in collaborazione proprio tra Game Arts e la casa
di Neon Genesis Evangelion.
In Grandia non abbiamo Kubooka alla direzione artistica ma è comunque avvertibile quel filo conduttore che da Tenkū no Shiro Laputa (1986) porta a Nadia (inizialmente progettata come serie tv di Hayao Miyazaki ispirata appunto a Laputa); vi è la stessa ambientazione post-industriale, vi sono due protagonisti tutto sommato simili, ossia la tipica coppia ghibliana (l’otaku e la ragazza misteriosa), e la splendida introduzione, raffigurante l’antica civiltà degli Icarians, rimanda proprio a quella di Laputa, dopo aver ammirato su Sega CD l'intro di Lunar 2, che ricorda invece i murales di Kaze no tani no Nausicaä (1984). Ma soprattutto troviamo in Grandia quella stessa sensazione di avventura e di sense of wonder, trasmessa dalle suddette e altre opere, ispirate dai classici della letteratura di fine ottocoento/inizio novecento e mai riportata in un videogioco con tale rievocazione, merito ovviamente delle nuove potenzialità offerte dal Sega Saturn (e poi PlayStation), la cui riuscita non sarebbe stata possibile senza l’enorme impegno profuso nella direzione artistica, frutto di 4 anni di lavoro. In tal senso gli stessi sequel di Grandia non riusciranno in alcun modo ad eguagliare il suo capostipite, mentre per trovarne di affini in quanto setting e messa in scena, vi si potrebbero piuttosto accostare i nomi di Skies of Arcadia (2000) e Dark Chronicle (2002).
Per lo scenario di gioco circolarono varie idee, ma alla fine fu deciso per “un mondo dinamico e vivace, un mondo in cui si sente il fischio del vapore nell'aria”, un’epoca vigorosa e di cambiamenti, lontano dagli stereotipi del gioco di ruolo di matrice fantasy o con ambientazione fantascientifica.
“Con lo Sword & Sorcery puoi raffigurare un mondo
fantastico, ma questo avrà inevitabilmente una forte immagine medioevale, e gli
abitanti di quel mondo e dei villaggi non avrebbero avuto quell'atmosfera di
vivacità nei suoi confronti. D'altra parte, con la fantascienza puoi avere un
ambiente elegante e oscuro, ma questo tende ad essere un mondo di supereroi
oppure un mondo di decadenza e distopia".
Nessuno di questi andava bene per Grandia, nella ricerca di un'epoca che fosse appropriata la scelta dello staff si posò sull'epoca successiva alle esplorazioni e alla Rivoluzione Industriale, un periodo di nuova e improvvisa prosperità per l'umanità. La divisione tra vecchio continente, industrializzato, e nuovo mondo, selvaggio e inesplorato, il concetto da superare di “Fine del Mondo”, qui rappresentato in modo magnifico da un enorme muro che divide letteralmente la mappa, e infine un ritorno all’interesse nei confronti della storia e dell’archeologia, sono tutti elementi che rimandano alle epoche delle esplorazioni, tra XVI e XIX secolo.
“Coloro che vivevano in quel tempo avevano i loro pensieri
rivolti verso il futuro, traboccante di energia e ottimismo; nei cuori delle
persone, ci sarebbe stato il desiderio di scoperta di nuovi orizzonti e avventure.
Da qui l'età dell'avventura".
“L'immagine promozionale, che mostra i personaggi alla fine del mondo conosciuto che guardano dall'alto verso il mondo perduto, che si estende davanti a loro. Con il tema principale volevo trasmettere quello stesso senso di eccitazione e di ignoto”. (Noriyuki Iwadare)
*aggiornamento
Nel 2019 è uscita una versione rimasterizzata destinata a Nintendo Switch, realizzata da GungHo Online Entertainment e venduta insieme al secondo capitolo (questo già disponibile su PC). Tale porting sembra basarsi sulla versione PlayStation, ma conto di esaminarlo meglio una volta entrato in pessesso dell'accrocchio ibrido made in Nintendo.
“L'immagine promozionale, che mostra i personaggi alla fine del mondo conosciuto che guardano dall'alto verso il mondo perduto, che si estende davanti a loro. Con il tema principale volevo trasmettere quello stesso senso di eccitazione e di ignoto”. (Noriyuki Iwadare)
Noriyuki Iwadare torna dopo la trionfale soundtrack di Lunar
(Best Game Music Award 1991, categoria Mega Drive), e con Grandia firma, senza mezzi
termini, il suo capolavoro assoluto. A differenza di altri suoi illustri
colleghi, per anni ancorati alla confortante routine sonora del Super Famicom,
Iwadare si era fatto le ossa su Sega CD, ponendolo all’avvento della generazione
del supporto ottico su un piano di vantaggio abissale per quel che concerne il
campionamento audio. In sonorità, l'opera Game Arts annichilì qualunque altro rpg sul mercato, servendosi di una vera orchestra e dell’innovativo ADX
sound system, Iwadare non trova più alcun freno alla sua creatività e
confeziona una colonna sonora di livello hollywoodiano, non lesinando inoltre qualche
tocco di classe, come per esempio la musica che aumenta di volume man mano che
si scala il muro della fine del mondo. Ascoltare la colonna sonora di Grandia è
come fare un bellissimo viaggio per il mondo attraverso svariate culture
musicali, si inizia dalle tonalità steampunk di Parm per poi sentire, una volta
sbarcati nel nuovo continente, stili americani e messicani. Il villaggio di Ganbo
propone invece ritmi asiatici e polinesiani, con Cafu si va in Africa mentre
per la zona finale, Laine, il compositore ha scelto qualcosa di russo.
Grandia esce in Giappone il 18 dicembre 1997 raccogliendo
consensi su tutte le riviste e un successo commerciale notevole (oltre 340,000
copie, il 3° rpg più venduto sul 32-bit Sega dopo Super Robot Taisen F e Shin
Megami Tensei: Devil Summoner). Un po’ tutti oltreoceano si aspettavano quindi una versione
inglese a cura di quegli stessi Working Design che avevano portato i
Lunar e diversi altri jrpg in Nord America. Questo però non avvenne e la
compagnia americana preferì piuttosto Alundra, accasandosi su console Sony dopo
anni di supporto a Sega. Il motivo è attribuibile, oltre allo scarso successo in
occidente della console Sega, a contrasti tra Victor Ireland, fondatore di
Working Design, e Bernie Stolar, vice presidente prima di Sony Computer
Entertainment America, e poi di Sega of America; costui bloccò la
pubblicazione americana di Arc the Lad (1995), il primo gioco di ruolo
PlayStation, in procinto di essere tradotto proprio dai Working Design, asserendo lo scarso interesse dei videogiocatori americani nei
confronti di questo genere. Due anni dopo Final Fantasy VII ovviamente lo smentirà
alla grande. Ireland non dimentica e una volta che Stoler passa in Sega, questo vecchio e insanabile dissapore
chiuse definitivamente le porte alla localizzazione di altri jrpg del Sega Saturn (l'ultimo fu Magic Knight Rayearth), da
parte di Working Design.
Va però detto che i lavori di traduzione di questo studio, che si prendeva “licenze poetiche” non da poco, aggiungendo battute umoristiche non presenti nello script originale e attuando altre modifiche varie, sono ancora oggi oggetto di discussione sui forum a stelle e striscie, tra chi nostalgicamente li ama e chi invece li ripudia (un po’ come avviene in Italia con certi vecchi doppiaggi di anime, come l’eterna diatriba di Saint Seiya/Cavalieri dello Zodiaco). Working Design ha sicuramente contribuito alla diffusione dei jrpg in stile anime sul pubblico statunitense, in un periodo storico in cui venivano epurati riferimenti culturali nei videogiochi giapponesi, ma sotto certi aspetti è un bene che Grandia non sia finito nelle loro mani.
Bisognerà infatti attendere il 1999 per mettere le mani sulla versione inglese ufficiale di Grandia, per PlayStation, a cura della stessa Sony e portata in Europa da una ancora innocua Ubisoft. Un porting per nulla facile per un gioco concepito su di un hardware come quello Saturn, dove al contrario della console Sony il calcolo grafico si avvale di due GPU che operano in parallelo. Grandia fa infatti uso dell’esclusivo VDP2 del Saturn per il background rendering di alcune sequenze, che su PlayStation sono stati costretti ad emulare alla bell’è meglio; è abbastanza eloquente la scena iniziale dove dall'aereonave di Baal viene effettuato uno zoom sulla città di Parm, zoom che su console Sony viene riportato alla comica fluidità di 1 frame al secondo e che può lasciare una cattiva impressione iniziale.
Va però detto che i lavori di traduzione di questo studio, che si prendeva “licenze poetiche” non da poco, aggiungendo battute umoristiche non presenti nello script originale e attuando altre modifiche varie, sono ancora oggi oggetto di discussione sui forum a stelle e striscie, tra chi nostalgicamente li ama e chi invece li ripudia (un po’ come avviene in Italia con certi vecchi doppiaggi di anime, come l’eterna diatriba di Saint Seiya/Cavalieri dello Zodiaco). Working Design ha sicuramente contribuito alla diffusione dei jrpg in stile anime sul pubblico statunitense, in un periodo storico in cui venivano epurati riferimenti culturali nei videogiochi giapponesi, ma sotto certi aspetti è un bene che Grandia non sia finito nelle loro mani.
Bisognerà infatti attendere il 1999 per mettere le mani sulla versione inglese ufficiale di Grandia, per PlayStation, a cura della stessa Sony e portata in Europa da una ancora innocua Ubisoft. Un porting per nulla facile per un gioco concepito su di un hardware come quello Saturn, dove al contrario della console Sony il calcolo grafico si avvale di due GPU che operano in parallelo. Grandia fa infatti uso dell’esclusivo VDP2 del Saturn per il background rendering di alcune sequenze, che su PlayStation sono stati costretti ad emulare alla bell’è meglio; è abbastanza eloquente la scena iniziale dove dall'aereonave di Baal viene effettuato uno zoom sulla città di Parm, zoom che su console Sony viene riportato alla comica fluidità di 1 frame al secondo e che può lasciare una cattiva impressione iniziale.
Vengono inoltre meno le ombre
degli edifici, cambiano effetti di fumo, acqua e trasparenza, e il fondale delle
battaglie appare in evidente low-res trasmettendo una sensazione di maggior
piattezza rispetto alla controparte Saturn, mentre a favore della versione
PlayStation vi sono giusto gli effetti speciali delle magie.
Al netto comunque di questi
compromessi, Grandia su PlayStation è sempre Grandia, quindi un capolavoro,
ed è l’unico modo per giocarlo con una traduzione inglese ufficiale, abbastanza
buona considerati gli standard di quel periodo. Il doppiaggio inglese non regge
assolutamente il confronto con quello giapponese, come ovvio che sia data la
maggior importanza riposta sugli rpg in patria, ed è ironico constatare come
ancora oggi non si sappia con certezza chi abbia dato la voce a Justin, segnale
che i doppiatori in campo non erano certo delle prime scelte, oltreché in un numero esiguo per un gioco con così tanti personaggi (anche senza andare a leggere i credits si avverte in modo lampante che la doppiatrice della madre di Justin sia la stessa di Feena).
Oggi è possibile acquistare questa versione dal PlayStation Store al prezzo di circa 8 euro per PS3 e compatibile, come da prassi per i classici PS One, con PSP e PS Vita. Sarebbe cosa non di poco gradita se venisse recuperata la versione originale Saturn per la ripubblicazione su canali come GoG, Steam e simili, come accaduto recentemente con Grandia II*, in modo che anche altri possano (ri)vivere questa indimenticabile avventura, oltre i confini del mondo.
Oggi è possibile acquistare questa versione dal PlayStation Store al prezzo di circa 8 euro per PS3 e compatibile, come da prassi per i classici PS One, con PSP e PS Vita. Sarebbe cosa non di poco gradita se venisse recuperata la versione originale Saturn per la ripubblicazione su canali come GoG, Steam e simili, come accaduto recentemente con Grandia II*, in modo che anche altri possano (ri)vivere questa indimenticabile avventura, oltre i confini del mondo.
*aggiornamento
Nel 2019 è uscita una versione rimasterizzata destinata a Nintendo Switch, realizzata da GungHo Online Entertainment e venduta insieme al secondo capitolo (questo già disponibile su PC). Tale porting sembra basarsi sulla versione PlayStation, ma conto di esaminarlo meglio una volta entrato in pessesso dell'accrocchio ibrido made in Nintendo.
*aggiornamento 2 (8/10/2019)
Grandia HD è ora disponibile anche su Steam.
*aggiornamento 3 (26/3/2024)
*aggiornamento 3 (26/3/2024)
Grandia HD Collection esce per PS4 e Xbox One.
Sources:
Interviste su Saturn Magazine (1997-1998), tradotte:
Sources:
Interviste su Saturn Magazine (1997-1998), tradotte:
Intervista a Noriyuki Iwadare:
http://www.rpgfan.com/features/iwadare-interview/
Illustrazioni ufficiali, concept art, bozzetti:
http://www4.plala.or.jp/croh/gvdb/
Dichiarazioni sul periodo Saturn/PlayStation di Working Design:
http://www.rpgfan.com/features/iwadare-interview/
Illustrazioni ufficiali, concept art, bozzetti:
http://www4.plala.or.jp/croh/gvdb/
Dichiarazioni sul periodo Saturn/PlayStation di Working Design:
Vengo qui dopo aver visto le live di questo gioco di Jayped e del Signor Santilio. Grandia mi ha colpito molto positivamente, non so bene il motivo preciso ma c'è qualcosa in esso che mi ha emozionato e che mi spinge a giocarci (magari poi la tipologia di gioco mi verrà a noia ma per il momento la storia mi ha molto incuriosito).
RispondiEliminaho visto che la remaster è presente su steam. A tuo giudizio può essere un valido mezzo per approcciarsi o si va di siti arr ed emulazione Saturn? Mi affido al suo indicabile giudizio.
In quella di Santilio c'ero anche io ad un certo punto, è il mio gioco preferito e non potevo mancare :P
EliminaSì la remaster su Steam va benissimo.