Planetarian: Chiisana Hoshi no Yume
In un futuro non molto lontano, l'esaurimento delle risorse naturali, la sovrappopolazione e il fallimento del Progetto di esplorazione spaziale, hanno causato una guerra biologica e nucleare che ha distrutto intere nazioni e devastato la terra, ridotta ormai ad un cumulo di macerie e avvelenata dalle radiazioni. Una pioggia perenne si abbatte sulle città in rovina, e le macchine da guerra automatizzate rimaste portano avanti la loro distruzione, uccidendo chiunque si pari loro davanti. Un soldato senza nome si aggira per una città abbandonata, quelli come lui sono detti “Junker” e vagano tra le rovine alla ricerca di oggetti utili e non danneggiati per la propria sopravvivenza. Forse anche per ripararsi almeno un po’ dalla solita, e perenne pioggia acida, il Junker entra in uno strano edificio con una cupola sul tetto, qui incontra Yumemi Hoshino, una ginoide programmata per fare da guida ai visitatori; l’edifico infatti altro non è che un planetario, rimasto sorprendentemente “attivo” per oltre trent’anni, e con esso la sua guida Yumemi, che accoglie il visitatore con tutti gli onori e un curioso bouquet composto da rottami, totalmente ignara di ciò che è accaduto all’esterno del planetario.
Quattro anni, tanti ne erano passati dall’uscita di Air (2000), la seconda visual novel di Key, dopo il debuttante Kanon (1999). Un’enormità in questo settore, questo perché Clannad, il terzo e ambizioso progetto di Jun Maeda e compagni, dall’idea originaria era cresciuto esponenzialmente, l’autore e compositore temeva che l'arco After Story, ossia la continuazione dello scenario di Nagisa, avrebbe eclissato l'intero gioco, e di conseguenza tutta la prima parte, la “School Life”, venne potenziata in ognuna delle sue route; nessuna di essa doveva sfigurare nell’insieme. L'attesa per Clannad fu tale che i fan nel 2003 crearono una loro versione parodia chiamata "Netannad".
La grande uscita però finalmente si avvicinava, e nel mentre che Maeda e gli artisti completavano l’After story, Takahiro Baba, influente produttore di VisualArt’s, approva lo sviluppo di un nuovo progetto con a capo Yuuichi Sakamoto, già scrittore di novel cartacee, a cui si deve la route di Kotomi in Clannad e reduce da alcune esperienze come assistente scrittore per Studio Moebius (Snow e Oshikake Princess). Al suo fianco una manciata di sviluppatori: Eeji Komatsu al character design, scelto perché anche mecha designer e quindi adatto ad una ambientazione sci-fi, Na-Ga alla grafica e Nama Hamu alla programmazione. Fine. Un piccolo progetto in tutti i sensi con un solo personaggio femminile a schermo in aggiunta al protagonista, che ovviamente non si vede, è dunque sufficiente una doppiatrice da scritturare (Keiko Suzuki) per completare il cast vocale, Planetarian - Chiisana Hoshi no Yume si presenta nel novembre del 2004 come una visual novel atipica, al punto che per essa verrà coniato il nuovo termine di kinetic novel: nessuna interazione con l’ambiente, niente harem, nessuna scelta, bensì solo lettura, un libro visivo nella sua più pura concezione, attiva l’auto mode, posa il pad, la PSP o il mouse e goditi la storia per le sue circa quattro ore di durata.
Planetarian è quindi la cosa più lontana che possa esistere dal concetto di videogioco, ma alla fine lo accettiamo per quello che è, ovvero una Key inedita, la prima senza Jun Maeda, lontana dai villaggi spensierati e dalle periferie, senza ore e ore di dialoghi tra i banchi di scuola. Il luogo della vicenda ricalca il vero Matsubishi Department Store di Hamamatsu, Shizuoka, già teatro di pesantissimi bombardamenti durante la WWII ma, nonostante questo, rimasto sorprendentemente in piedi, salvo poi essere demolito nel 2012. Planetarian ci narra una storia sci-fi dalle atmosfere decadenti e melanconiche, catapultandoci in un mondo totalmente finito e privo di qualsivoglia speranza. Allo scenario fa da voluto nonché quasi serafico contrasto la figura di Yumemi Hoshino, questa graziosa ginoide che, come una Wall-E in chiave manga, è rimasta al suo posto di lavoro per decenni senza ricevere nuove istruzioni o informazioni su tutto ciò che è avvenuto al di fuori del planetario. Nel suo database ha una conoscenza enciclopedica, ma aggiornata a quarant’anni fa, quando il mondo era ancora vivo e le esplorazioni spaziali erano in divenire, ossia, quando c’era ancora la speranza di un futuro migliore; Yumemi è pertanto la testimone di una umanità che non c’è più e ciò si riflette nel suo comportamento ottimista e ingenuo, capace di ispirare immediata dolcezza, nel modo educato in cui si esprime, nella schiettezza con cui espone i suoi guasti al sistema (ormai inevitabili), passando per i suoi vani tentativi di svolgere azioni ormai impossibili, come connettersi ad un non più esistente servizio di supporto.
In linea di massima, la storia di Planetarian è un cliché: il cinico veterano stanco della vita che incontra una creatura ingenua è una coppia vista più volte e in vari media. Non che questo sia necessariamente un male, lo stile “nakige” di casa Key si sposa perfettamente con questa tipologia di narrazione minimalista, che non si perde troppo in esposizioni descrittive preferendo concentrarsi piuttosto sul rapporto tra il junker e Yumemi, il cui incontro casuale è destinato a cambiare entrambi. L'intelligenza della scrittura risiede nella capacità di mantenersi in equilibrio in una narrazione che unisce empatia ritemprante e distopico pessimismo. Yumemi si comporta esattamente come un avanzatissimo robot, salvo poi tradirsi, come da tradizione per questi racconti di fantascienza, in determinate emozioni, forse anche a causa del suo essere “guasta”, e qui la mente non può che andare a Video Girl Ai. Nulla di innovativo, intendiamoci, i detrattori non hanno tutti i torti nel rimarcare la pochezza contenutistica di questa storia che mira alla lacrima facile in maniera fin troppo prevedibile, ma va comunque considerato il contesto in cui è stata concepita, plasmata nell'arco di pochi mesi, che non gli ha comunque impedito di lasciare il segno. Siamo in un territorio in cui la disillusione si respira chiaramente quanto l'inquinamento delle giornate senza sole che incupiscono l'atmosfera nel momento in cui i personaggi escono dal planetario, in un incedere che trasuda della precarietà dell’esistenza umana, fatto del solo rumore della pioggia, quando non della ostilità delle macchine da guerra.
Il lettore procede avvertendo ben presto lo scandire di un lento ma inesorabile countdown, l’energia di Yumemi è destinata ad esaurirsi, il planetario è condannato a rimanere senza la sua guida, noi siamo il suo ultimo “Okyaku-sama” e chissà, forse è anche per questo che ha mentito sul numero di visitatori; non siamo il numero 2,500,000, ma siamo comunque speciali, destinati ad assistere all’ultima proiezione del cielo stellato. In Planetarian è tutto talmente scritto e inevitabile da risultare spiazzante nella sua lucidità, come a dire è andata così, e tu non puoi fare nulla, finché non si giunge ad una catartica accettazione, analogamente al manga Yokohama Kaidashi Kikou di Hitoshi Ashinano, in cui l’umanità attende serenamente la fine della sua era. Yumemi Hoshino, che chiacchiera in continuazione, che ama parlare di religione, di storia, con mille domande, non è che un ultimo, fugace bagliore di vita, seppur artificiale, destinato a spegnersi, non prima però di averci fatto vedere, e immaginare, quello sconfinato cielo stellato nascosto dalle nubi tossiche.
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