venerdì 17 luglio 2020

Final Fantasy VII Remake

Final Fantasy VII Remake
ファイナルファンタジーVII リメイク
2020
PlayStation 4, PlayStation 5, Windows
Developer: Square Enix Publisher: Square Enix
Tetsuya Nomura, Naoki Hamaguchi, Motomu Toriyama (Director)
Yoshinori Kitase (Producer), Naoki Hamaguchi, Teruki Endo (Designer)
Naoki Hamaguchi, Daiki Hoshina, Satoru Koiyama (Programmer)
Shintaro Takai, Roberto Ferrari, Tetsuya Nomura (Artist)
Kazuhige Nojima, Motomu Toriyama, Hiroaki Iwaki, Sachie Hirano (Writer)
Masashi Hamauzu, Mitsuto Suzuki, Nobuo Uematsu (Composer)

Nei suoi migliori momenti, tra i più coinvolgenti della storia di Square Enix, Final Fantasy VII Remake gestisce con estrema naturalezza e lucidità tanto il dramma quanto i dialoghi vivaci, con situazioni dal forte calore emotivo, riportando il giocatore di ruolo, maturato, al punto nel quale il suo viaggio ha avuto inizio 23 anni fa, dandogli però una nuova prospettiva. Perché qui alzi lo sguardo e vedi lo squarcio lasciato dal Settore 7, e rimani in silenzio per qualche secondo. Il “Rebuild” mantiene spunti e tematiche ecologiche dell’originale, aggiungendo nuovi elementi narrativi che purtroppo, pur sulle prime interessanti, cagionano in un finale non privo di goffaggini (a esser buoni), nella sua spasmodica e artificiosa ricerca di pathos.

La cupa metropoli di Midgar, capitale dell’energia Mako, è di fatto sotto il totale controllo, tecnologico e militare, della compagnia Shinra, la quale estrae e sfrutta la linfa vitale del pianeta per produrre energia. Per questo motivo si contrappone al suo potere l'organizzazione di resistenza Avalanche, deciso ora a passare ad azioni più concrete; il gruppo capitanato dal possente Barret ingaggia così Cloud Strife, un ex membro dei SOLDIER, ossia i soldati scelti al servizio della Shinra, per distruggere uno dei reattori Mako.

Gli intoccabili non esistono e tutto è migliorabile. Un rifacimento non ha necessariamente uno scopo sostitutivo, ma può essere complementare. Approcciarsi a Final Fantasy VII Remake con questi due principi è un aiuto fondamentale alla sua comprensione, di contro il feticcio adolescenziale acceca il pensiero e distorce lo sguardo, e il più famoso capitolo della saga RPG della fu Squaresoft non può che aver assunto negli anni il ruolo di manifesto di sacralità novantina tale da far definire quasi una follia qualsivoglia opera di ricostruzione.
Il remake non l’ha di certo inventato Final Fantasy VII nell’anno 2020, non è il primo neanche nella sua saga di appartenenza e non sarà l’ultimo, ma viene da sé che tra il numero IV e il numero VII vi è una sostanziale differenza di responsabilità, per quanto opinabile si possa definire questo concetto: fino a quanto un creativo deve tenere conto della percezione pregressa che ha il “fandom” di una determinata opera, che sfocia in idealizzazione? Questa è la domanda che sopra a tutte si è insinuata sullo scorrere dei titoli di coda di Final Fantasy VII Remake, rendendo di fatto ridicoli tutti gli altri argomenti che hanno caratterizzato l’attesa dell’ultimo colossal di Square Enix, dalla lunghezza della gonna di Tifa al naso di Aerith, passando per timori su possibili rimaneggiamenti degli aspetti più “weird” del gioco originale, sacrificati sull’altare di un presunto politically correct, alla fine smentiti dai fatti (sarà tutto al suo posto, inclusa la malsana idea di Hojo di far accoppiare la cavia Aerith con dei Soldier). Perché questa è buona parte del fandom di FFVII, ossia un pubblico ben poco maturo che da totale vergine di esperienze del gioco di ruolo nipponico se ne scoprì improvviso amante, poi supposto vate, non a caso è lo stesso rigurgito generazionale del coevo Neon Genesis Evangelion, verso cui si accumuna un certo grado di venerazione. Non uso il termine “sopravvalutato” perché l’ho sempre trovato vago e soprattutto inutile ai fini di qualunque discorso, ogni cosa va giudicata per quella che è e ciò che ci trasmette, a prescindere dalla percezione o l’influenza che questa ha avuto sul suo pubblico di riferimento. Ciò non toglie che l’impatto che ebbe Final Fantasy VII alla sua uscita, specie per i giocatori occidentali, non ha eguali nel genere, e di conseguenza il grado di rischio preso da Yoshinori Kitase e soci nel rimaneggiare tale monumento storico non può essere paragonato certo a quello di un Seiken Densetsu 3.

Ciò premesso, in perfetta rappresentanza del suo fruitore tipo, quello di Final Fantasy VII non è che un mondo adolescenziale, in cui converge tutto il paradigma delle fisse giovanili e subculturali degli anni novanta; il passaggio di character design da Yoshitaka Amano (o per meglio dire, Kazuko Shibuya) a Tetsuya Nomura è caratterizzato da una svolta di stile atta ad abbassare, dunque ampliare, il target di riferimento. I protagonisti adulti di Final Fantasy VI con i loro problemi esistenziali o gli intrecci geopolitici di Romancing SaGa, lasciano il posto ad un gruppo di rivoluzionari la cui carta di identità potrà anche attestarli sull’avvenire della maggiore età, ma che di fatto esaltano un certo modo di pensare, e di porsi, degli archetipi narrativi giovanili più in voga, dal triangolo amoroso (con tanto di date mechanic nascosta) passando per l’antagonista, la cui principale preoccupazione sembra essere quella di come entrare in scena. In tal senso, il tanto elogiato episodio VII non è poi così diverso dal tanto vituperato episodio VIII, "reo" di aver accentuato la componente sentimentale (come fosse un delitto), nonostante i decisi quanto stucchevoli tentativi dei fan del primo di demarcarne le differenze. Il divario tra le due storie sta innegabilmente nella scrittura, i personaggi di Final Fantasy VII sono scritti divinamente, immediatamente riconoscibili e al contempo profondi, e il setting, un cyberpunk con componente ecologista in linea con i tempi (il Protocollo di Kyoto è proprio del 1997), è ancora oggi fra i migliori mai concepiti dalla casa giapponese. 

Questo i suoi autori lo sanno benissimo e Final Fantasy VII Remake, nella sua ricerca scenografica e iconografica, gioca con efficacia su quella linea tra ricostruzione fedele e voglia di stupire, ricorrendo a collaudati stilemi narrativi della serie per far leva tanto sul fattore nostalgia quanto sull’obiettivo di migliorare, ampliare, affidandosi ad un determinante apparato tecnico di grande suggestione, in cui i designer Square possono dare sfogo a tutto il loro talento visivo. L’avvolgente ambientazione di Midgar rappresenta senza dubbio uno dei maggiori punti di forza del gioco, che abbandona fin da subito qualsivoglia velleità da open world per proporre un approccio più tradizionalista, leggasi lineare, all’esplorazione; strutturalmente Final Fantasy VII Remake è l’esatto opposto di Final Fantasy XV, i due Final Fantasy usciti in questa generazione mai sarebbero potuti essere più diversi, in tutto, dalla metodologia dello sviluppo alla cornice visiva, dalla direzione della storia al gameplay, fino ad arrivare alle peripezie post lancio (tonnellate di patch e DLC per FFXV, vuoto totale per FFVIIR, “completo” senza pur esserlo). Con ciò non vuol dire che l’uno sia meritevole di mettere in ombra l’altro, pregi e difetti non mancano in ambedue le produzioni, e se si vuole parlare di ambizione, il Final Fantasy di Hajime Tabata rimane diverse spanne sopra, ma laddove la vastità delle regioni esplorabili di FFXV risultava a conti fatti inutile ai fini narrativi e di comprensione del mondo, FFVIIR preferisce circoscrivere il campo riempendolo di vita, di particolari, di piccole storie, ritrovando, servendosi dell'ultimo stadio tecnologico di PS4, quel modo di fare Final Fantasy che rendeva speciale ogni luogo, senza che la vocazione figurativa prevalga su quella contenutistica.

Ecco quindi che gli “slums” di Midgar prendono vita rinvenendo scenari e suoni a noi familiari, attraverso però una prospettiva inedita; luoghi interni come la casa di Aerith, il Seventh Heaven o la chiesa del Settore 5 ricalcano fedelmente gli arredi di allora, con tutto il carico emotivo che ne deriva, mentre gli esterni si prendono le dovute libertà, ampliando dove necessario ma seguendo sempre una congrua logica degli spazi. Certo, alla prima richiesta di “trova i gattini” nel Settore 7 il pensiero di trovarsi dinnanzi a quel tipo di annacquamento, che tanto ha rovinato FFXV, emerge, salvo poi scoprire, fortunatamente, un numero abbastanza ponderato di “quest” e un loro utilizzo ben inserito al contesto. Insomma l’obiettivo principale in FFVIIR rimane sempre focalizzato. Il gioco non dà quasi mai l’impressione di deviare dal percorso originale, e quando lo fa, lo fa in maniera eccellente, con il pensiero che va immediatamente a quel sorprendente Capitolo 4 il quale, oltre a farci visitare un lato di Midgar a noi sconosciuto (la zona residenziale sopra la piattaforma), eleva i membri di Avalanche da semplici comparse a veri personaggi. Jessie in testa, calcolatrice, imprevedibile, attrice nata, capace nella prima metà di mettere in ombra addirittura Tifa, se uno degli scopi di questo remake era dare a tali personaggi di contorno un volto e una degna caratterizzazione, questo obiettivo può dirsi perfettamente riuscito.

Aerith Gainsborough invece non era certo una lavagna vuota da riempire come Jessie, Tifa avrà il suo momento di gloria nelle fasi più avanzate della storia originale, ma la protagonista assoluta del “CD1” è senza dubbio la fioraia dagli occhi smeraldo, e in questo remake letteralmente giganteggia fin dalla sua prima apparizione, con un carattere frizzante e a tratti bipolare, il cui vecchio e superficiale adattamento non rendeva minimamente giustizia ai dialoghi; troppo superficialmente definita semplice civettuola con Cloud, Aerith si dimostra molto più matura e profonda, rivolta il “SOLDIER” come un calzino celando tuttavia dietro i suoi sorrisi una tristezza sempre più difficile da reprimere, oltre ad un timore recondito nei confronti del futuro, dell’ignoto (“la libertà, mi fa paura”), come se volesse congelare l’attimo. Il remake accentua tutti i lati del suo complesso carattere grazie ad un magistrale lavoro di animazione che diventa essa stessa una forma di narrativa, la quale trova il suo primo apice espressivo nel Capitolo 8, interamente dedicato al rapporto tra Cloud e Aerith; qui possiamo notare la ricerca dietro anche gli aspetti apparentemente più marginali, come quando la ragazza, per accompagnare Cloud verso il Settore 7, sceglie la via più lunga (e tortuosa) al solo scopo di passare più tempo con lui. Quando una volta giunti al parco Cloud scopre di essere stato manipolato, fa un sorrisetto come a dire “me l’ha fatta”. È un gioco di sguardi e di piccoli gesti, oltre che di dialoghi, non possibile nel 1997 (si veda anche l’incredibile espressione di Aerith quando fa il nome del “suo ex”), in tal modo il remake si prefigge lo scopo di migliorare addirittura l’originale, e in questi frangenti, ci riesce.

Il successivo capitolo del Wall Market era un po’ la prova del 9 di questo Remake, la curiosità di scoprire come Square Enix avrebbe reso una delle fasi più caratteristiche dell’originale sotto una nuova veste grafica si mescolava al timore di assistere ad eventuali edulcorazioni in linea con i tempi vigenti, timori che tuttavia si sono letteralmente sgretolati dinnanzi all’evidenza della messa in scena di un quartiere del peccato che non solo non nasconde il morboso fascino ammirato nel 1997, ma che addirittura lo valorizza. Ispirandosi a quartieri come Kabuki-cho e Dōtonbori, il team di sviluppo dà qui sfogo a tutta la sua “giapponesità”, senza vergognarsene (incluso l’assurdo balletto all’Honey Bee), come se Ryū ga Gotoku si fosse improvvisamente impossessato di Final Fantasy; perché questa era la vecchia Squaresoft, un’azienda giapponese che infarciva le sue opere di un umorismo tipicamente giapponese. In FFVII Remake, forse per la prima volta da (e teniamoci forte) FF X-2, si ha la sensazione di giocare ad un Final Fantasy che non prova soggezione nei confronti delle produzioni occidentali ma che anzi esalta le sue eccentricità e le sue contraddizioni, a costo di prendersi anche qualche rischio di “caduta di stile”, rimembrando di come anche l’originale FFVII contenesse assurdità di vario genere. È un processo di demitizzazione del feticcio, come a dire volete Sephiroth, i Turks e le cose serie? Vi beccate anche Cloud che balla, le trazioni e tutto il resto, perché questo era (è) FFVII, alimentando a questo punto l’attesa per la Parte 2 di salti su delfini e Red XIII vestito da marinaio.

La scelta di dividere il progetto del remake in più episodi, inizialmente criticata e bollata come mero espediente commerciale, si dimostra invece provvidenziale al team di sviluppo permettendogli di avere lo spazio, nel vero senso del termine, di inserire tutto, ma proprio tutto ciò che conteneva l’originale FF VII in questa prima parte dell’avventura. Inclusi elementi marginali, piccole chicche, la cui presenza in un remake non era per nulla scontata, come il minigioco dei pulsanti da premere in contemporanea o la scena in cui Cloud deve uscire con fare “stealth” dalla casa di Aerith. Basta ragionarci un attimo per capire che tutto ciò sarebbe stato praticamente impossibile qualora avessero deciso di ricreare una tantum l’intero Final Fantasy VII, con questa grafica e con questa cura, con tutti i dialoghi doppiati; qui non c’è un solo NPC che si esprima in via testuale, a cui si aggiungono tutte le voci in sottofondo, ore e ore di dialoghi che attestano un valore produttivo fuori misura. La struttura episodica però bisogna saperla gestire, in questo campo Nihon Falcom è maestra con la saga di The Legend of Heroes, frutto di una tradizione di scrittura e di world building ultra decennale, mentre altri, come Monolith Soft e la sua Xenosaga, ne sono usciti con le ossa rotte. I precedenti di Square Enix, dalla frastornante gestione di Kingdom Hearts alla nefasta trilogia di FFXIII, sono un lascito tutt’altro che confortante e le vaghe dichiarazioni di Kitase e soci sull’episodio successivo, di certo non tranquillizzano, complice anche un finale criptico che ha voluto strafare a tutti i costi.

Il nuovo sistema di battaglia, un’ottima ibridazione tra classica turnazione simil-ATB (fortemente voluta da Nomura) per l’utilizzo di magie, tecniche e oggetti, e impronta action per i movimenti e gli attacchi corpo a corpo, è una consolidata base per il futuro, essendosi dimostrato infinitamente più strategico e appagante rispetto a quello di Final Fantasy XV. La gestione delle materie con slot di armi e armature è al suo posto, con le dovute modifiche e nuovi tipi di materie creati per l'occasione, mentre enormi passi avanti sono stati compiuti nel differenziare i quattro personaggi giocabili, sulle cui peculiarità offensive ci si potrebbe scrivere interi paragrafi, dalle divertenti combo di Tifa ai vari buff in dotazione di Aerith. Caratteristiche che emergono nelle spettacolari battaglie contro i boss che sapranno stupire anche il fan più esigente non tanto per il modo in cui sono stati realizzati, quanto per come sono stati contestualizzati e valorizzati anche i mostri più sfigati del gioco originale, dalla Casa Infernale (bellissima) al Sinuolamio (Sword Dance in FFVII), due casi di mostri comuni “promossi” a boss in modo sorprendente.

Un lavoro che si può definire monunentale è stato fatto sulla colonna sonora, che non si limita a riproporre brani storici con un nuovo arrangiamento, ma li amalgama in un unico corpus musicale, scegliendo perfettamente i tempi (la prima boss theme con l’Airbuster, proprio come nell’originale), una soundtrack che esiste in virtù delle sue metamorfosi con brani che cambiano di ritmo tra fase esplorativa e di combattimento, proprio come avviene in Nier: Automata, e chissà che non sia stata proprio quella la fonte di ispirazione per Masashi Hamauzu, scaturendo in un concetto di “novità della tradizione”, nostalgica e moderna al tempo stesso.

Tutto ciò attesta un amore e un rispetto smisurato nei confronti di Final Fantasy VII, ed è per questo che non può che fare incazzare quello stramaledetto Capitolo 18, che rischia di buttare alle ortiche quanto di buono fatto in tutto il resto del gioco. I cambiamenti alla storia originale erano messi in conto, i creatori sono gli stessi (manca solo Sakaguchi-san), liberi dunque di fare ciò che vogliono con la loro creatura, ma è la messa in scena a far crollare tutti i buoni propositi, con un concentrato di banalità e inutile pomposità da lasciare letteralmente basiti; è come se Advent Children, su cui si pensava avessero steso una pietra tombale, si fosse improvvisamente impossessato di FFVII Remake, di colpo quei bellissimi personaggi regrediscono di nuovo alla prima adolescenza, alla peggior Square Enix, dopo che per 17 capitoli abbiamo visto la Squaresoft, sciorinando frasi sul destino e amenità varie che sembrano uscite da un Fairy Tail. Questa, è una caduta di stile, non certo Cloud che balla. Kitase afferma che il senso di sorpresa è uno dei cardini della saga e per questo, piuttosto che ricreare 1:1 l’originale FFVII, se ne sono usciti con questa cosa. Benissimo, ma il Nostro sembra aver sottovalutato quel “senso di progressione”, da sempre caratteristica dei videogiochi di ruolo, che non riguarda solo la forza dei personaggi, ma anche la rappresentazione scenica, della serie che parti da un villaggio sperduto, e arrivi a salvare il mondo combattendo un’entità soprannaturale. Ciò ovviamente è un archetipo, ma dopo aver affrontato un boss del genere, cosa potrà stupirci negli episodi successivi? Con quale ridondanza ti ripresenti con la One Winged Angel, che da traccia potente nella sua unicità, rischia di diventare un motivetto ricorrente da Trio Drombo? E allora, tutto perde di essenza, come del resto il villain che rappresenta.

Non mi soffermerò su teorie e suggestioni dei Numen, di linee temporali e di tutte queste cose su cui tanti si sono già ingarbugliati partorendo dozzinali di video, perché sarebbe fare il loro gioco, come da loro stesso ammesso, passato l’hype per la Parte I sentivano il bisogno di alimentare un dibattito così da accrescere l’attesa per l’episodio successivo; ebbene no cari Motomu Toriyama, Tetsuya Nomura e Kazuhige Nojima, ci sarà tempo per testare la bontà delle vostre idee, con i complimenti o con gli insulti, senza cedere alla cultura dell’hype, la nostra attenzione è troppo importante per essere rivolta a qualcosa di vago, artificioso e volutamente criptico, come il finale di Final Fantasy VII Remake. Della serie non pensiamoci, ma passiamo oltre quel muro, verso un viaggio sconosciuto in attesa di scoprire cosa ci riserverà.

2 commenti:

  1. Una recensione spettacolare!
    Vorrei davvero poter giocare questo remake, essendo tra quelli che hanno scoperto i jrpg con FFVII, innamorandosene. Peccato che non possieda una macchina in grado di farlo girare... ��
    L'unica cosa che probabilmente mi mancherebbe sono i combattimenti a turni, che ho sempre preferito alle versioni più "action".

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    1. Tempo un anno e dovrebbe uscire anche su PC.
      Con il sistema di combattimento hanno raggiunto un buon compromesso, è action nei movimenti ma non è brainless come un Kingdom Hearts, permette di fermare il tempo e ragionare la mossa successiva proprio come nei turni, la demo rilasciata poco prima dell'uscita convinse anche i più titubanti. C'è anche una versione "Classica" tra le opzioni aggiunta nelle ultime fasi dello sviluppo, ma non la consiglio.

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