X-Men: Children of the Atom
エックス・メン チルドレン オブ ジ アトム
1994
Coin-op, Sega Saturn, Windows, PlayStation
Developer: Capcom Publisher: Capcom
Akira Nishitani, Noritaka Funamizu (Planner)
Akira Nishitani, Noritaka Funamizu (Planner)
Akira Yasuda, Kinu Nishimura, CRMK (Artist)
Takayuki Iwai, Syun Nishigaki, Hideki Okugawa (Composer)
Nell'anno in cui si assiste al naufragio della serie, forse definitivamente, con Marvel vs Capcom Infinite, è a suo modo interessante tornare su quello che fu il primo parto frutto della collaborazione tra queste due case. È il dicembre del 1994 e X-Men: Children of the Atom inaugura la saga
di picchiaduro dedicata ai supereroi in costume, e fu subito successo.
Quello
di Vampire era un trionfo ancora fresco; il titolo con protagonisti
vampiri, lupi mannari e mostri vari aveva finalmente mostrato al mondo le
potenzialità della CPS-II, così come la creatività della “nuova” Capcom, intenta
a riprendersi i fan migrati verso le coste SNK guardando, al contrario dei rivali, maggiormente al di fuori dei confini nazionali. Proprio con tale proposito si annovera l'altro progetto il
cantiere, un gioco che prometteva l’utilizzo un manipolo di eroi Marvel,
ancora più frenetico e spettacolare di Darkstalkers seppur, va detto, più
smanettone e decisamente meno raffinato.
Nel corso degli anni novanta il mondo dei comics americani
attraversò un periodo abbastanza turbolento. L’abuso di “variant edition”
spacciate per rare quando in realtà non lo erano, il proliferare di testate
poco appetibili e un calo di popolarità generale dei supereroi portarono prima
ad una “bolla speculativa”, e poi ad un crollo sostanziale delle vendite, con
un picco negativo toccato proprio nel biennio 1993/1994 con la chiusura di ben
16 testate. La Marvel era talmente a corto di soldi che arrivò a vendere i diritti cinematografici di Spiderman alla Sony per appena 10 milioni di dollari. Cifra che a leggerla oggi strappa più di un sorriso, considerato quanto assurdamente incassano i cinecomics, e la stessa Sony probabilmente si starà mangiando le mani per non aver preso l'intero pacchetto di eroi comprendente Iron Man, Captain America e compagnia sonante, pare per l'irrisorio costo di 25 milioni (retroscena estratto da The Big Picture: The Fight for the Future, di Ben Fritz).
È in questo non certo idilliaco clima che Capcom trova la collaborazione con la casa di Stan Lee per la realizzazione di un picchiaduro, avente come protagonisti gli X-Men (che segue il platform dello Super NES X-Men: Mutant Apocalypse, di un mesetto precedente), di fatto gli unici supereroi Marvel che non risentirono gli effetti della crisi, dove in patria attestavano una spaventosa tiratura di ben 5 milioni di copie.
È in questo non certo idilliaco clima che Capcom trova la collaborazione con la casa di Stan Lee per la realizzazione di un picchiaduro, avente come protagonisti gli X-Men (che segue il platform dello Super NES X-Men: Mutant Apocalypse, di un mesetto precedente), di fatto gli unici supereroi Marvel che non risentirono gli effetti della crisi, dove in patria attestavano una spaventosa tiratura di ben 5 milioni di copie.
Traendo ispirazione dal
design della serie animata del 1992 (richiamati pure gli stessi doppiatori), e
utilizzando invece come base narrativa il ciclo Fatal Attractions del 1993,
Children of the Atom ci mette a disposizione 6 buoni (Ciclope, Wolverine,
Iceman, Psylocke, Colosso e Tempesta) e 4 antagonisti (Sentinel, Omega Red,
Spiral e Silver Samurai) per un totale di 10 mutanti, più la guest star Akuma
come personaggio segreto, direttamente da Street Fighter. La cura al dettaglio
è più che lodevole, le animazioni dei personaggi appaiono fluidissime e le
tecniche speciali sono di una spettacolarità unica; per un appassionato di
comics l'avvento di Children of the Atom deve essere stato una sorta di sogno che si avvera.
Risulta tuttavia chiaro già ad un primo approccio quanto il picchiaduro Capcom
sia destinato ad un pubblico più vasto e meno pretenzioso, rispetto ai suoi
simili. Non che Children of the Atom sia un gioco stupido, tutt’altro, per
padroneggiare le chain combo e carpire bene le distanze per dash e jump vari,
qui fondamentali, è necessaria una certa pratica, ma sovente la ragione va a
farsi benedire e cede il passo ad un button mashing che a volte ripaga pure,
vista la potenza di certe special e dei tempi di recovery spesso ridotti
all’osso, facendo storcere il naso ai puristi del genere. La “X-Power” assume
l’utilità di una super-barra a 3 livelli, che permette l’utilizzo delle
“X-Ability” o delle “Hyper-X”, ma va consumandosi anche interrompendo una una
caduta e per le counter-throw.
La modalità arcade ci mette contro 6 avversari più due boss
(Juggernaut e Magneto), e per una volta non si dovrà combattere contro un proprio
clone scolorito. Come accennato, graficamente Children of the Atom non si discute,
meritano indubbiamente menzione le arene multi-livello e una discreta
soundtrack moderna ma sempre un po’ rétro, nello stile tipico del Q-Sound.
Sulle conversioni casalinghe vale il solito Dogma: Saturn si, PlayStation no.
Quest’ultima, non solo se ne esce nel 1998, ma presenta gli stessi problemi
riscontrati in Darkstalkers: tempi di caricamento allungati, frame mancanti,
rallentamenti vari ed eventuali.
Ad oggi X-Men: Children of the Atom ha il
ruolo storico di aver aperto il filone dei “Marvel-picchiaduro”, con i suoi
alti e bassi, ma insieme al suo successore Marvel Super Heroes (1996) non può
che dare un’impressione di “prologo” di ciò che saranno i più corposi
cross-over successivi con Street Fighter prima e con la Capcom tutta poi,
sempre all’insegna del divertimento più immediato e sfrenato, inno al magico
mondo del fumetto innanzitutto, ma che in taluni casi ben si sposa con
quello ludico, a patto di scendere preventivamente dal piedistallo dei tecnicismi.
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