Dicasi open world quel videogioco in cui il giocatore può muoversi liberamente all'interno di un mondo virtuale; infatti è data ampia libertà al giocatore il quale può scegliere come e quando affrontare obiettivi o dedicarsi per buona parte del tempo alla semplice interazione con l'ambientazione e ciò che la popola.
I jrpg (giochi di ruolo giapponesi) sono solitamente dei giochi dallo scarsissimo game design; al contrario di altri generi più “puri” come sparatutto o platform, essi non offrono un livello di sfida che non sia la semplice ripetizione, in linea di massa, se un boss è troppo forte per il nostro livello è sufficiente battere decine di volte gli stessi mostri minori per poi distruggerlo. L’unica cosa che ti chiedono i jrpg, è il tempo da impiegare, non la bravura.
Consci di ciò, sul finire degli anni ottanta i game designer giapponesi decisero di dotare i loro giochi di ruolo di intrecci narrativi e di epiche storie che giustificassero decine di ore di noiosissimo grinding, e che li distinguessero in tal modo dai tipici dungeon crawler di origine occidentale. Nascono quindi, appena un anno dopo l’avvento del seminale Dragon Quest di Enix, saghe come Phantasy Star e Digital Devil Story: Megami Tensei, giochi di ruolo che provarono, tramite più elaborati script, ad andare oltre il prode cavaliere che sconfigge il drago, ispirandosi all’allora pulsante e variegato mercato degli Original Anime Video.
Phantasy Star (1987) |
Da allora, chi più e chi meno, i jrpg hanno intrapreso questa strada,
rendendoci protagonisti di fantasie e storie sempre più avvincenti: se
da una parte, con i giochi di ruolo occidentali figli di D&D, si è
andata cercando l’immersione, dal versante nipponico lo sforzo si è
profuso sulla ricerca dell’evasione e dell'immedesimazione. Final Fantasy è diventato Final Fantasy con il quarto capitolo, dove per la prima volta assistiamo alla lotta interiore del protagonista, tra cavaliere oscuro e paladino, oscurità e luce. Dragon Quest V
(1992) ci metteva nei panni di un eroe sin dalla sua tenera età,
facendoci vivere la sua epopea fino all’età adulta con tanto di prole. Megami Tensei, divenuto nel frattempo Shin,
creava un miscuglio apocalittico di lotte fra Demoni e Divinità, tra
rimembranze di Go Nagai, temi religiosi ed esoterici, cose che fanno
andare in brodo di giuggiole gli otaku anni Novanta fruitori di Shin Seiki Evangelion, da lì al monumentale Xenogears (1998).
Le tre più importanti saghe di jrpg si sono così espresse ed imposte,
già 25 anni fa, dettando le regole del genere dall’alto dei loro
successi, e le altre non hanno potuto far altro che seguirne la
dottrina, certo impigliandosi in determinati cliché, ma per
anni in pochi si sono lamentati della cosa, anche perché in raffronto il
fantasy occidentale ha stereotipi che perdurano da molto più tempo.
La cura narrativa riposta nei jrpg richiede però un prezzo, rispetto ai giochi di ruolo occidentali: una marcata linearità.
Una storia, per coinvolgere, non può essere infarcita di distrazioni,
di backtracking, di fetch quest, che vanno bene se impersoniamo un
taciturno avatar creato da noi stessi ma che forse, alla luce di alcuni
risultati recenti, poco si sposano con un gioco che si prefissa lo scopo
di raccontarci storie più ambiziose, quelle che dovrebbero andare oltre
il semplice “formiamo un party e facciamo le missioni” di un mmorpg. Un
gioco che vuole innanzitutto raccontarci una storia, ha bisogno di una
guida, nascosta o meno, ha bisogno del suo metaforico Auron che ci dica
“andiamo avanti”, altrimenti è fermo, come congelato, come un libro su una pagina in attesa che il lettore la giri.
Un gioco lineare però non vuol dire per forza banale, come
la storia insegna, e un gioco enorme non si traduce automaticamente in
un gioco profondo.
Rileggendo quindi la descrizione degli “open world” e poi di seguito la
ricostruzione storica dei jrpg e di ciò che li rende caratteristici,
possono i due aspetti coesistere, oppure appare inevitabilmente come un
matrimonio forzato?
Inutile girarci ancora intorno, Final Fantasy XV è il principale motivo di questa riflessione, anche se già Metal Gear Solid V
mi aveva fatto suonare qualche campanello d’allarme in merito, ossia
una saga che ha fatto della narrazione guidata/cinematografica il suo
punto cardine, che decide di sposare l’open world, con il risultato di
uscire tanto bello e variegato come gioco quanto annacquato
e poco incisivo sul fronte storia, rispetto ai precedenti. Tralasciando
tutte le sue problematiche di sviluppo. Sviluppo travagliato che, guarda caso,
ha attanagliato anche l’ultimo, mastodontico Final Fantasy, che se
possibile riesce a fare persino peggio. Ma attenzione, questo non è un
articolo (del tutto spoiler-free) contro Final Fantasy XV, che
merita assolutamente di essere giocato, bensì contro il modo in cui è
stato concepito, e non mi addentrerò su grafiche e combat system vari, per
quello ci sono già fior di analisi e recensioni.
Come ormai noto ai più, Final Fantasy XV si divide in due parti
ben distinte, sembra addirittura avere due anime, quella prima e quella
dopo l’arrivo ad Altissa. La prima, open world, enorme, piena
di subquest, narrazione ridotta all’osso, dall’atmosfera rilassante e
positiva (forse anche troppo, in contrapposizione con Kingsglaive che ci sembrava descrivere il mondo al di fuori dalla barriera di Insomnia come quello di Ken il Guerriero), e la seconda, lineare, schizofrenica, confusa, cupa, che sembra volerci dire “ti sei divertito a pescare? Stavamo scherzando”.
Ora, ho letto di persone (e recensioni) che hanno esaltato la prima
parte e stroncato la seconda, e questo ben dovrebbe far capire la causa
per cui FFXV sia uscito palesemente incompleto, se non addirittura
stravolto. Square Enix si è presa carico di creare un open world in un videogioco assolutamente non concepito per un open world, il risultato sono questi 8 capitoli dalla trama praticamente inesistente, infarcita di quest
di inventiva e varietà deprimente (alzi la mano chi non ha mandato a
quel paese la tipa delle rane o quello delle targhette, alla quarta
richiesta), ambientato in un mondo sì vasto e splendidamente realizzato,
ma a conti fatti vuoto e fine a se stesso, per quello che chiede la
trama portante, ovvero ciò che ai fan di Final Fantasy interessa davvero
e ciò per cui hanno atteso tanti anni.
Guardando i trailer di Versus XIII e del XV poi, i fan erano
innanzitutto incuriositi da Noctis, dai suoi misteriosi poteri, dal
mondo così cupo e moderno, per questo i primi 8 capitoli di FFXV sono un
tradimento a ciò che esso stesso doveva essere, non perché mette in
secondo piano la storia per concentrarsi su altri aspetti (non sarebbe
il primo, vedi FFXII) ma perché smantella la sua visione originale, preferendo ruffianare determinati (o presunti) tipi di giocatori con il superfluo
e asservendosi ad una cultura di game design lontana da quella
giapponese. E quando questo succede, di solito, raramente viene fuori
una produzione coesa e riuscita pienamente.
"Ti vendicherò padre e mi riprenderò il trono, ma prima devo catturare queste rane" |
Se in giochi come Skyrim lo scopo è scoprire pian piano un mondo non attraverso le cut-scene ma tramite le nostre azioni, in FFXV l’esplorazione si dimostra del tutto inutile alla sua comprensione, se non per aumentare il nostro livello e le nostre skills. E qui si torna curiosamente al discoro iniziale, su cosa ha reso i jrpg.. jrpg, in tal senso, FFXV rischia di non essere né un wrpg, né un jrpg, letto così sembra un disatro totale.
E invece no.
Giocando alla seconda parte appare tutto più chiaro (si fa per dire), i capitoli successivi all’ottavo rappresentano il vero cuore pulsante di FFXV e ciò che sarebbe dovuto essere, se solo non fosse deturpato da tagli e omissioni varie. Insomnia, Tenebrae, Gralea, la rete è sommersa di rumor che dichiarano come questi luoghi fossero previsti interamente esplorabili, comprovati da alcuni glitch, ma che alla fine, con la data di scadenza alle porte, tutto si è ridotto in un viaggio su binari, nel vero senso del termine. Senza contare i tagli alla storia e a quei personaggi importanti come Cor, Verstael Besithia o la stessa Lunafreya che necessitavano e meritavano maggior spazio, a cui tenteranno di porre rimedio con dei DLC, che però possono mettere delle toppe fino ad un certo punto. E cresce il rammarico per un capolavoro mancato.
Un carismatico e manipolatore villain che vale 10 mammoni armati di Masamune |
La domanda quindi sorge spontanea: ma ne valeva la pena?
Ne è valsa la pena rinunciare a cotanto potenziale non sfruttato (la
“lore” dietro a FFXV, che sta uscendo fuori dal libro “Ultimania” uscito
in Giappone, è enorme e ricca di fascino) in cambio di quella
sconfinata regione di Duscae, in cambio di quei panorami e di quella
presunta libertà tanto voluta dai giocatori? Ma siamo poi così sicuri
che i fan volevano questo open world a tutti i costi, che ha di fatto
tolto risorse e rovinato la seconda parte, oppure quella di Square Enix è stata solo una reazione, una alzata di scudi, ai criticati corridoi di Final Fantasy XIII?
La libertà in un videogioco è sempre un costrutto fittizio,
un’illusione, può cambiare la metratura di manovra, ma il giocatore
avrà sempre un raggio di azione delimitato e regolato dalle sue regole
(altrimenti non sarebbe un videogioco), sta allo sviluppatore rendere
quel raggio di azione il più possibile interessante o stimolante. La sensazione di libertà può essere quindi un fattore prettamente soggettivo oppure plasmata dall’abilità del game designer;
i vecchi Final Fantasy erano guidati ma davano comunque la percezione
di far parte di un mondo vivo e pulsante, grazie anche ad una spartana world map certo, ma alla fine è il risultato ciò che conta veramente, più che il mezzo.
Il sorprendente Dragon Quest VIII, uscito recentemente in versione 3DS, aveva già un mondo non stilizzato interamente esplorabile, mentre nel successivo Ni No Kuni gli stessi Level-5 hanno scelto un approccio più tradizionalista nella raffigurazione del mondo di gioco, a causa della sua origine portatile.
FFXV vende bene, ma al di là dei suoi proclami rivoluzionari non sembra attirare nuova utenza oltre quella storica |
Final Fantasy sembra invece incapace di (ri)trovare una via di mezzo che
possa accontentare sia gli amanti della narrazione senza dilungamenti,
sia quelli della più genuina esplorazione tipica degli RPG, a partire da
Final Fantasy X
con la sua linearità non più mascherata come in passato, bensì
esternata dalla storia (il pellegrinaggio, i templi) e dalla
conformazione geografica stessa di Spira, che non concede bivi.
Linearità che raggiunge l’estremizzazione in FFXIII in cui i fan ne avvertono maggiormente la chiusura, a causa di un mondo solo sfiorato superficialmente dalle loro azioni e dalle vicende dei protagonisti,
al contrario di quanto avveniva con Spira. Salvare un mondo di cui non
abbiamo potuto visitare una singola città o parlare con un negoziante
dai prezzi folli, ha lasciato solo sconsolazione tra i fan, a cui Square Enix ha tentato di porre rimedio in maniera goffa ed informe nei due sequel, ma il danno era fatto e la linearità diventava sempre di più l'olio di palma dei giochi di ruolo, un qualcosa da estirpare.
Niente "open world" ma c'era comunque con cui dilettarsi tra una battaglia e l'altra |
In definitiva, i giapponesi non sono portati per l’open world? Con FFXVI
si deve tornare alle autostrade di FFXIII? Assolutamente no, ricordando
innanzitutto che l’hanno inventato loro, prima con The Legend of Zelda (A Link to the Past in particolare), poi con Shenmue, il padre dei free-roaming di moderna concezione. Il villaggio di Shenmue o l’ormai celebre quartiere di Kamuro-cho di Yakuza,
per rimanere in casa SEGA e su una serie che di certo non rinuncia alla
qualità della narrazione, possono essere più vivi, stimolanti e reali
di un’enorme regione interamente esplorabile, e se non si hanno le
risorse per competere con i colossi occidentali si può allora attingere
alla creatività (Gravity Rush).
Forse più che non esserne capaci, i giochi giapponesi non hanno bisogno
dell’open world, o almeno non come lo intendono i developer occidentali.
Quindi cara Square Enix, se dobbiamo barattare gite in
auto, escursioni su sgargianti colline, subquest ridicole e una
porno-benzinaia in cambio della limitazione alla massima espressione di uno dei potenziali migliori e più cupi Final Fantasy di sempre,
allora i posteri rievocheranno i giorni in cui hai anteposto la
soggiogazione verso una moda, alla ricerca di una Fantasia autoriale,
forte e imperitura.
Sopra: sensazione di libertà made in japan
23/01/2017
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