giovedì 25 agosto 2022

Christmas Tina -Utakata Toukei-

Christmas Tina -Utakata Toukei-
クリスマスティナ, クリティナ
Christmas Tina: Ephemeral Views of Winter
2019
Windows, Nintendo Switch
Developer: Nekoday Publisher: Nekoday, MangaGamer
Tomo Kataoka (Scenario), Koraku (Director)
Werkbau (Character Designer, Artist), Takehito Akino, Yatsumi Suzuame (Artist)

La stazione di Harajuku è un luogo fisico e parimenti significante colmo di incontri e di confronti, tra classi sociali, tra chi è costretto a passarci e chi invece vi si trastulla in abiti alla moda; un palcoscenico in cui far convergere un anno di vita di due ragazzi ai margini della grande metropoli, fuori dal suo fragore e le sue insegne al neon. È su di loro che la visual novel di Tomo Kataoka si sofferma, raccontando i loro sogni e le loro speranze con elegante e a volte cruda naturalezza (nonostante qualche forzatura di sceneggiatura), con sullo sfondo una affascinante collocazione del Giappone anni ‘80.

1988, il Giappone è nel pieno della bolla economica. Nuovi edifici stanno spuntando ovunque e le persone sono spensierate riguardo al futuro. Il vecchio scompare e nasce il nuovo, ma ci sono delle persone, dei luoghi, delle cose, che nessuno nota, o forse fanno finta di non notarli. Kanna Sakurai è una studentessa del primo anno delle superiori, che dopo essere stata coinvolta in un incidente stradale decide di lasciare gli studi, allo scopo di pagare le cure di sua sorella minore cardiopatica. Si trasferisce così a Tokyo dalla provincia, dove, nonostante la mancanza di esperienza un titolo di studio, riesce a trovare un piccolo impiego in una agenzia immobiliare nei pressi della stazione di Harajuku. Jing Xiaoran, dopo aver fallito l’esame di ammissione all’università in Cina, emigra in Giappone per trovare un lavoro e ritentare poi l’anno successivo. 
Tramite l’intermediazione del suo connazionale Jiang, viene indirizzato alla stessa agenzia immobiliare di Harajuku, gestita dalla giovane Shiori Sakurai, che decide di assumere sia lui che Kanna, i quali dovranno però dividersi lo stipendio così come l’alloggio, un vecchio edificio della stazione in disuso. Un’adolescente molto diffidente nei confronti delle persone e un immigrato cinese che non conosce una parola di giapponese, si ritrovano così a lavorare sotto lo stesso tetto, in un angolo dimenticato della frenetica metropoli... 


All’alba degli anni ’80 l’economia giapponese registrava una crescita media annua del 4%, nei due decenni precedenti le grandi aziende del paese si erano arricchite grazie alle esportazioni, in particolare di prodotti tecnologici, ma negli anni ‘80 fu il mercato interno e la sua classe media a trarre i maggiori benefici del boom economico, con l’aumento dei redditi e la disoccupazione ai minimi storici. L’Accordo del Plaza del 1985, atto a ribilanciare il valore del dollaro sul mercato azionario (in particolare nei confronti dello yen, la cui svalutazione favoriva enormemente le esportazioni), venne visto come una minaccia per l’economia giapponese, di conseguenza la Banca del Giappone attuò una serie di misure per svalutare nuovamente la sua moneta e abbassare i tassi di interesse. Ciò però avrà l’effetto di scatenare un’enorme speculazione nel mercato azionario, ma anche e soprattutto in quello immobiliare, con i prezzi e i valori dei terreni che salgono alle stelle. Le contromisure del governo furono tardive e inefficaci e le conseguenze sono note; nel 1991 la bolla scoppia e l’economia entra in quella fase stagnante che durerà per tutti gli anni ‘90, definito il “decennio perduto”. 
Christmas Tina: Utakata Toukei, Ephemeral Views of Winter, le “viste effimere dell’inverno”, effimere come una bolla (泡沫, Utakata) pronta a scoppiare, per l’appunto, si colloca perfettamente in questo contesto storico, a cavallo fra due epoche (Shōwa e Heisei), destinato a cambiare profondamente il quadro sociale ed economico di questo paese, ma lo fa mettendoci nei panni di due ragazzi comuni, una liceale giapponese e un immigrato cinese, catapultati, per motivi diversi, in una Tokyo dalle luci scintillanti e ancora ebbra di un benessere che per le persone comuni non sembrava conoscere crisi. 


Tomo Kataoka a molti non dirà granché, ma è un veterano nel campo delle visual novel; la sua attività inizia alla fine degli anni ‘90 come sviluppatore doujin, con Duette (1999) quale prima storia originale, ma sarà Narcissu, del 2005, a consacrarlo come uno degli scrittori più promettenti del genere. Con quest’opera, certamente drammatica ma senza quella stucchevolezza e artificiosità tipica di alcuni nakige di casa Key e derivati, Kataoka si distacca notevolmente dai canoni che andavano per la maggiore, a partire dalla durata, che si esaurisce nell’arco di poche ore, ma anche nello stile grafico, con cui prova ad abbandonare quella staticità tipica dei galge, con i personaggi sempre in primo piano, optando per un approccio un po’ fumettistico, un po’ cinematografico, tra abbondanti bande nere che coprono buona parte schermo, e asettici fondali ad esaltare lo stile astratto e freddo della narrazione. 


Visivamente affine a Narcissu, ma più rifinito, Christmas Tina propone una narrazione semplice ma attenta, votata alla solidità delle immagini, ad una regia essenziale che predilige le emozioni alle parole, e non è un caso che l’incomunicabilità sia uno dei temi affrontati. È una kinetic novel (ovvero priva di scelte e route) in grado di sprigionare una carica emotiva e sensoriale notevole, sviluppando una componente di scrittura di ampio respiro che rifugge gli stereotipi del genere, diramandosi in un intimismo che non lascia indietro nessuno dei personaggi coinvolti grazie ad un sapiente utilizzo dei flashback (contraddistinti da un ricercato filtro color seppia). 
Certo, non mancano alcune forzature, Kanna e Jing, costretti a vivere sotto lo stesso tetto, parlano due lingue diverse e non si capiscono l’un l’altro, ciò va inevitabilmente a creare incomprensioni e fraintendimenti che sulle prime possono essere comprensibili, ma con il passare dei mesi tale situazione risulta un po’ irrealistica; va bene che 35 anni fa non esistevano smartphone e traduttori automatici, ma i dizionari tascabili c’erano e Jing in particolare potrebbe comunque fare lo sforzo di imparare qualche parola di giapponese. 


Fortunatamente, l’arrivo di Emi a Tokyo all’inizio del 1988 darà una decisa scossa al rapporto, fino a qui gelido come l’inverno, tra i due protagonisti; la contagiosa allegria e la cordiale socievolezza della sorellina di Kanna avranno il positivo effetto di incrinare, fino ad abbattere quasi del tutto, quel muro di incomunicabilità linguistica, grazie anche al fatto che i bambini possiedono questa facoltà, che possiamo definire naturale, di farsi comprendere e a far trasparire le proprie emozioni senza l’utilizzo delle parole. Le scene tra Jing e la piccola Emi sono infatti alcune tra le parti più riuscite, in particolare quella in cui la bambina gli confida il suo malore, con lui che non capisce le sue parole, ma sente che nel suo sorriso nasconde un profondo sentimento di tristezza. Con loro, un misterioso gatto nero che si aggira nei pressi della stazione, il quale sembra palesarsi simbolicamente quando le distanze e le incomprensioni fra i personaggi vengono meno. 


Come con il suo doppio audio cinese-giapponese, Christmas Tina si dispiega costantemente su due linee alternate, con le quali seguire in punta di piedi i protagonisti (inclusi l’emblematica Shiori e il losco Jiang, che avranno un loro spazio) nel loro relazionarsi, lasciando fino all’ultimo il dubbio che fra Kanna e Jing possa effettivamente nascere qualcosa, scandendo tuttavia il ritmo con un inevitabile conto alla rovescia, ricordando a tratti il mai dimenticato Lost in Translation di Sofia Coppola, che coincide con il loro contratto di lavoro e il destino di una stazione abbandonata fuori dal tempo. Alcuni, in particolare i più abituali fruitori di visual novel ben più corpose delle 8/9 ore che richiede Christmas Tina, potrebbero trovare bruschi i time skip, solitamente di un mese, che rischiano di spezzare il ritmo della narrazione; tuttavia questa divisione in capitoli, dalla durata di un quarto d’ora circa, risulta una scelta abbastanza ponderata che avvicina il racconto più alla lettura di un manga, piuttosto che alle visual novel contraddistinte da un lento e spesso annacquato scorrere degli eventi, adducendosi sotto la comoda etichetta dello “slice of life”. Il solo capitolo del party a cui partecipa Kanna, che la vede fuggire su una sgangherata bicicletta da una mondanità che non la appartiene, vale da solo decine di ore di vacui dialoghi tra i banchi di scuola e cottarelle fra adolescenti; la ragazza di campagna emarginata e sciatta, derisa dalle gal di Harajuku vestite alla moda, rappresenta lo scrigno perfetto del senso di un racconto tanto delicato quanto intenso, giocato tutto sul filo del rasoio di emozioni represse che fanno emergere le contraddizioni di una modernità composta comunque di classi sociali, con sullo sfondo una Tokyo tanto ammaliante, nella sua atmosfera “City Pop”, quanto cinica e indifferente. 


Oggi, quella stessa stazione di Harajuku scenario del racconto, con il suo caratteristico edificio in legno risalente all’era Taisho, ha lasciato il posto ad una struttura più moderna costruita in occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020+1, lasciandoci con quel medesimo sentimento che hanno i personaggi alla fine del loro anno vissuto insieme, quello di aver lasciato alle spalle qualcosa, dei luoghi, dei momenti, destinati a non tornare mai più. 


2 commenti:

  1. Mi hai molto incuriosito con questo titolo, soprattutto per l'ambientazione temporale.

    L'inglese proposto è abbastanza comprensibile anche a chi come me non ha poca dimestichezza con la lingua della perfida albione?

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    1. Sì è un inglese abbastanza semplice, e l'intreccio così come i dialoghi tra i personaggi non sono mai troppo articolati, quindi anche se sfugge qualche termine bene o male sai cosa succede. La divisione in brevi capitoli e la possibilità di salvare quando si vuole permettono poi di riprendere fiato e di fruirlo al ritmo che più ci fa comodo.

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