mercoledì 9 agosto 2017

Samurai Spirits

Samurai Spirits
サムライスピリッツ
Samurai Shodown 
1993 
Coin-op, NeoGeo, NeoGeo CD, Game Boy, SNES, 
Sega Mega Drive, Game Gear, Sega CD, 3DO, FM Towns
PlayStation, PlayStation 3, Wii Virtual Console,
PlayStation 4, Xbox One, Nintendo Switch
Developer: SNK Publisher: SNK

Punto forte della SNK è la sua duttilità. Al contrario di quanto un principiante potrebbe inizialmente pensare, non vi è una saga uguale ad un’altra e Samurai Spirits ne è l’esempio più lampante: diverso l’approccio di gioco, diversa la raffigurazione stilistica, diverso tutto. Non c’è precedente, nessun paragone sul quale aggrapparsi.

Nel 1993 Yu Suzuki sgancia la sua Bomba H, una delle tante, quel Virtua Fighter che cambierà per sempre il modo di intendere i picchiaduro e non solo loro; il Maestro di casa SEGA aveva ormai inaugurato l’era del 3D ma fu proprio in questi anni che l’arte delle due dimensioni raggiunse il suo apice qualitativo, conseguenza di hardware ormai rodati ma anche di una concorrenza sempre più folta e agguerrita.


Mentre Capcom continuava a mungere la sua vacca denominata Street Fighter II, con versioni e update alcuni dalla dubbia essenzialità, la SNK e i suoi “alleati” sul NeoGeo sfornavano nuovi picchiaduro a quantità industriale, non tutti eccelsi chiaramente, eppure i tempi erano ormai maturi e il capolavoro lo si avvertiva nell’aria, l’opera che si sarebbe finalmente staccata dal modus operandi in voga fino ad allora per tracciare nuove vie di gameplay. Il gioco in questione porterà il nome di Samurai Spirits (Samurai Shodown in occidente), ed è subito Storia. 
Uscito nella roboante stagione di Super Street Fighter II e Fatal Fury Special (cioè la guerra dei cloni) inizialmente Samurai Shodown troverà una certa fatica ad imporsi in sala, per poi esplodere letteralmente sul mercato delle home console, con la costosissima cartuccia del NeoGeo AES che andrà letteralmente a ruba. Ebbene costoro ci avevano visto giusto, ma cosa rendeva unica la nuova produzione ad armi bianche della SNK? Beh le armi certo (non una novità, Barbarian, Battle Blaze, Shogun Warriors…), ma non solo. Il sistema di combattimento si basa sui soliti quattro tasti: tramite due di essi si menano fendenti con l’arma, uno leggero e uno medio, premendoli insieme il personaggio effettua invece un colpo più potente, capace di polverizzare anche mezza barra dell’avversario. 
Sulle prime si potrebbe sollevare qualche dubbio sull’effettivo bilanciamento del gioco, ma si andrà presto a scoprire quanto Samurai Shodown sia tanto severo quanto giusto: più potente sarà il colpo, maggiore sarà il tempo di recupero in caso di parata o schivata dell’avversario, rendendoci in men che non si dica carne da macello. 


Il motivo per cui SS ha fatto la sua fortuna nelle case più che nei cabinati arcade fu principalmente il suo approccio al duello: inizialmente infatti il titolo SNK appare lento, non adatto alla frenesia che si andava cercando nelle sale giochi. Qui si studia l’avversario, non lo si sommerge di bolle energetiche e vortici di fuoco – seppur le special fantasiose non manchino – e non è raro assistere al passare anche di dieci, quindici secondi senza che attenti duellanti abbiano assestato un solo affondo.
Dunque compreso ciò dopo una sequela di sane sconfitte, come bucare la difesa avversaria? Ed è qui che entrano in scena gli altri due tasti, ovvero quelli adibiti ai calci. Un calcio ha un tempo di esecuzione di molto più veloce, assumendo quindi la doppia funzione di bucare la guardia avversaria, approfittando di un suo momento di distrazione, e allo stesso tempo permettendo anche di uscire da un pressing seguìto poi da una bella special con il malcapitato ormai privo di protezione.
Essendo inoltre una lotta all’ultimo sangue tra ninja e samurai, la violenza non manca in Samurai Shodown, andando a creare quel contrasto tra realismo degli effetti sonori (come il bellissimo “kakiin” delle armi che si scontrano) e l’assurdo degli effetti speciali, meglio ancora se la battaglia si conclude con il personaggio entrato in modalità Ikari (“rabbia”), assumendo un colore rosso e rendendo i suoi colpi ancora più violenti, della serie quando un guerriero è sull’orlo della morte, va temuto il doppio. 
E tutto ciò è bellissimo, grazie anche e soprattutto ad un affascinante quanto efficace affresco storico; le affollate strade di Southtown delle origini e i luoghi esotici di Garou Densetsu 2 lasciano qui il posto alla desolazione di un Giappone feudale, mai così reale e “immersivo” grazie anche ad una ricercatissima colonna sonora che si avvale di strumenti tradizionali come lo shakuhachi e lo shamisen. Ogni locazione ben rappresenta il lottatore che la presiede, dal teatro Kabuki di Kyoshiro alla sperduta collina di Hanzo, dalla costa rocciosa di Ukyo, apparentemente tranquilla ma che si fa infrangere dalle onde proprio come il suo stile di lotta, fino al villaggio innevato immerso nella natura di Nakoruru. 

Proprio la giovane Ainu è un altro inequivocabile segnale dell’ecletticismo SNK di cui si accennava all’inizio, la casa di Osaka si rimette di nuovo in gioco sul fronte delle combattenti del gentil (si fa per dire) sesso; con Mai Shiranui aveva creato la prima vera sexy-pin up della storia dei videogiochi andando a fomentare una quantità inesorabile di imitazioni votate al porno-esibizionismo più becero che ancora oggi perdura (ciao Dead or Alive), ma SNK già nel 1993 va oltre andando a creare un nuovo stereotipo, quello della ragazzina candida et pura, il “kawaii” e il “moe” nel picchiaduro, con il suo caratteristico vestito rosso, la sua carineria e il particolare stile di lotta che prevede l’utilizzo di un fido volatile. The Future “was” Now.


Si scopre quindi una SNK che cancella e riscrive sé stessa, quella SNK che per 2 anni ha inseguito le combo di Street Fighter con il suo Fatal Fury e che qui le elimina enfatizzando il brivido del singolo affondo, quello fatale e decisivo in piena filosofia del Bushido, riuscendo a mantenere una solidità ludica praticamente ineguagliabile e la solita, eccezionale estetica NeoGeo esplosa in un impeto di grandiosa creatività espressa in sprite, tale da toccare il punto più alto raggiunto dal genere fino ad allora.

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